Il lavoratore ha la facoltà di sostituire alla malattia la fruizione delle ferie maturate e non godute.
E’ quanto ha stabilito la Corte di Cassazione con ordinanza n. 19062 del 10 luglio-14 settembre 2020, Sez. Lavoro, con cui ha accolto il ricorso di una dipendente che aveva impugnato il licenziamento per giusta causa comminato dal datore, risultando però soccombente nei precedenti gradi di giudizio.
Nel caso in esame, la ricorrente, quando già si trovava in assenza per malattia, aveva richiesto al datore la fruizione di un periodo di ferie di 20 giorni allo scopo di evitare il decorso del periodo di comporto. Il datore le aveva tuttavia concesso un solo giorno di ferie e, pertanto, ritenendo ingiustificate le ulteriori assenze, aveva provveduto al licenziamento per giusta causa.
La Cassazione, accogliendo il ricorso avverso la sentenza di appello, ha invece ritenuto lecita la possibilità per il lavoratore di convertire la malattia con le ferie. In particolare, ha valorizzato i canoni della correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto, dichiarando che il datore di lavoro, pur avendo discrezionalità nella scelta sulla concessione o meno delle ferie, deve tener conto del rilevante e fondamentale interesse del lavoratore ad evitare la possibile perdita del posto di lavoro per scadenza del periodo di comporto. In questo bilanciamento di interessi, le ragioni del datore di lavoro, legate alle esigenze organizzative e produttive, possono prevalere solo se siano concrete ed effettive, dovendo in caso contrario il datore concedere necessariamente le ferie.
La Suprema Corte ha dunque ritenuto fondato il ricorso della dipendente, evidenziando che, nel caso di specie, il datore non aveva dedotto alcuna ragione organizzativa che fosse di ostacolo alla concessione delle ferie.