Lavoratori e lavoratrici devono avere la stessa retribuzione non solo se svolgono lo stesso lavoro, ma anche se il lavoro è di pari valore.
E’ quanto chiarito dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea secondo cui il principio di parità di retribuzione tra lavoratrici e lavoratori, sancito dall’articolo 157 del Trattato di funzionamento dell’Unione Europea è applicabile direttamente non solo per uno “stesso lavoro”, ma anche nell’ipotesi di “lavoro di pari valore”, creando, in capo ai singoli, diritti che i giudici nazionali hanno il compito di tutelare.
Con questa decisione la Corte ha respinto la tesi di una società britannica di rivendita di generi alimentari e non solo, citata in giudizio per violazione di tale normativa da parte di alcune sue dipendenti. Quest’ultime sostenevano che il loro lavoro, e quello dei colleghi di sesso maschile, avesse pari valore e che esse avessero il diritto di confrontare il loro lavoro con quello dei lavoratori, pur se svolto presso stabilimenti diversi. Invece, la società aveva sostenuto che l’articolo 157 del TFUE aveva un effetto diretto solo nell’ambito di azioni fondate per uno “stesso lavoro”, ma che di fronte a un “lavoro di pari valore” la norma necessitasse di essere precisata da disposizioni di diritto nazionale o del diritto dell’Unione.
Per quanto riguarda l’Italia, la nostra legislazione per certi aspetti ha anticipato la normativa europea. Nel nostro ordinamento, infatti, il principio della parità di trattamento tra i generi è sancito dall’articolo 37 della Costituzione e il codice delle pari opportunità (D.lgs. n. 198/2006) ha poi attuato le specifiche direttive europee in materia.
Spetta comunque al giudice nazionale, come ricorda anche la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, valutare se i lavori che vengono portati in comparazione per denunciare la discriminazione abbiano o meno “pari valore”.