Riportiamo l’intervista ad Alice Mocci, Segretaria Nazionale della UILA, pubblicata sul Focus Uil immigrazione di maggio a cura del Servizio Politiche Sociali e Welfare, Sanità, Mezzogiorno e Immigrazione
Domanda: Potresti descrivere brevemente la situazione attuale dello sfruttamento dei lavoratori migranti nell’agricoltura italiana e il fenomeno del caporalato?
Risposta: Vorrei, innanzitutto, fare un po’ di chiarezza sul tema del lavoro agricolo in Italia e sfatare alcuni luoghi comuni che alimentano una visione distorta di questo settore che è sicuramente uno tra i più a rischio sfruttamento per le sue caratteristiche di stagionalità e quindi, di incertezza e di precarietà dal punto di vista del lavoro. Dal 2014 la Uila, attraverso il Cres, studia le dinamiche occupazionali in agricoltura analizzando gli elenchi anagrafici dell’INPS e i dati della Fondazione Enpaia. Da questi dati emerge che gli operai a tempo determinato (OTD) rappresentano l’86,5% degli occupati in agricoltura, contro un 10% di operai a tempo indeterminato (OTI) e il 3,5% di impiegati agricoli. Dei circa 900.000 OTD, il dato è rimasto sostanzialmente costante nel corso degli anni, il 63% è nato in Italia e il 37% all’estero. I lavoratori stranieri, circa 330.000, sono concentrati al nord (oltre 200.000), dove rappresentano oltre il 50% del totale degli occupati, mentre al sud la loro incidenza sul totale è solo del 25% mentre il 75% dei lavoratori agricoli è italiano. Questi dati sfatano un primo luogo comune: l’agricoltura è una attività lavorativa che interessa in primo luogo gli italiani, i quali, malgrado la difficoltà e durezza e la precarietà la considerano ancora come un’ importante fonte di reddito; inoltre, la presenza di lavoratori stranieri è maggiore nel nord del paese che non nel sud. Entrando nel merito della domanda sullo sfruttamento del lavoro e sulla base dei dati a disposizione, quello che emerge è la presenza di un vero e proprio esercito di oltre 100.000 lavoratori per i quali vengono denunciate meno di 10 giornate lavorative l’anno. Si tratta di una vera e propria “zona grigia” dove si nascondono elusione retributiva ed evasione contributiva. Il dato sorprendente è che oltre il 60% di questo esercito è costituito da lavoratori italiani a testimonianza di una realtà che sfata un altro luogo comune: lo sfruttamento, l’irregolarità del lavoro e il caporalato non hanno colore e colpiscono, trasversalmente, italiani e stranieri. Questi sono i dati a nostra disposizione, oltre a questi poi c’è tutta quella parte di lavoratori stranieri entrati illegalmente, senza permesso di soggiorno, e che vengono impiegati illegalmente e che, appunto per questo non possiamo sapere quanti siano.
D. In che modo il caporale influisce sulle condizioni di vita e di lavoro dei migranti? Qual è il suo ruolo nel sistema di impiego agricolo e a che prezzo?
R. La figura del caporale ha diverse sfumature. Si parte sempre dal presupposto che il caporale lucri sulle spalle del lavoratore. In alcuni casi è una figura di intermediazione di manodopera in altri arriva ad essere un vero e proprio sfruttatore. Sebbene il fenomeno sia trasversale alle nazionalità, con la nostra attività sul territorio abbiamo notato che ci sono alcune etnie più soggette a sfruttamento estremo, perpetrato spesso dagli stessi connazionali; un esempio per tutti è quello dei cittadini provenienti dal Bangladesh. Il caporale “offre” alloggi di fortuna e trasporta i lavoratori nelle aziende agricole e controlla l’attività di lavoro, trattenendo la maggior parte della paga, eludendo completamente tutti gli obblighi retributivi e contributivi. Uno dei motivi per cui il caporalato ha vita facile tra gli stranieri è lo stato di estremo bisogno (alloggio, cibo, ecc.) e la loro scarsa o nulla conoscenza della lingua italiana e, soprattutto dei propri diritti sindacali.
D. Quali sono le principali sfide che la legislazione attuale incontra nell’efficace contrasto al caporalato? Crede che le leggi vigenti siano valide e/o sufficientemente applicate?
R. La legge 199 del 2016 è sicuramente una legge innovativa, fortemente voluta dal sindacato e molto apprezzata in Europa, che ha inferto un duro colpo al fenomeno del caporalato. Dal punto di vista repressivo ha inasprito le pene previste e ha esteso la responsabilità del reato di caporalato anche alle imprese che si servono dei caporali e utilizzano manodopera illegale. Parallelamente sono aumentate le constatazioni accertate di reati legati alla violazione dell’art. 603 bis del codice penale. Inoltre, la legge ha avuto anche un effetto dissuasivo. Infatti, nei dati relativi al lavoro agricolo si è registrato una diminuzione dell’area grigia, di cui ho parlato prima (da 154.000 nel 2017 a 103.000 nel 2022), ed è aumentato il numero pro-capite di giornate lavorative dichiarate, passato da 86,2 del 2017 a 97,7 nel 2022. Insomma, qualcosa si è mosso ma la strada da fare è ancora lunga, infatti siamo convinti che da sola la repressione non modifichi i processi culturali necessari per favorire l’integrazione e il contrasto alle forme di sfruttamento e di irregolarità che spesso coinvolgono i lavoratori migranti. È essenziale attuare la parte propositiva della Legge 199, che prevede la costituzione della Rete del lavoro agricolo di qualità articolata poi in sezioni territoriali. Un’ulteriore positiva tendenza verso una maggiore regolarizzazione nel settore potrà derivare anche dalla “condizionalità sociale” introdotta dalla Riforma della Pac (Politica agricola comune) , grazie al ruolo determinante del sindacato italiano ed europeo. Entrata in vigore in Italia nel 2023 questa misura condiziona la concessione degli aiuti comunitari al rispetto di alcune direttive europee in materia di lavoro e, in particolare per il nostro paese, alla legge 199 Restano però da affrontare e risolvere, anche da un punto di vista legislativo, alcuni problemi, tra i quali, in primo luogo, quello delle cosiddette imprese senza terra e poi in materia di ispezioni che devono essere coordinate e rivolte all’accertamento non solo dell’evasione contributiva ma, soprattutto, della mancata retribuzione dei lavoratori. Sugli appalti illeciti delle imprese senza terra, stiamo da tempo sollecitando una norma che preveda, almeno dal punto di vista delle garanzie di solvenza contributiva e retributiva, ad esempio, l’accensione di una fidejussione bancaria a garanzia della loro solvenza. Per quanto riguarda il coordinamento tra i servizi ispettivi che insistono sui vari territori, abbiamo da tempo fatto presente come le norme che hanno previsto l’operatività delle varie agenzie di controllo sotto il coordinamento dell’INL non avevano avuto alcun effetto a livello territoriale; infatti, ogni agenzia agiva per proprio conto, spesso sovrapponendosi, quando non addirittura contrapponendosi. Questo problema è stato evidenziato anche dall’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) al fine di ricercare le condizioni per un miglior coordinamento a livello territoriale, unitamente a una specifica formazione per gli ispettori impegnati nel contrasto allo sfruttamento in agricoltura, settore che è regolato da norme contrattuali e legislative del tutto particolari.
D. Qualcuno sostiene che il caporalato è un sistema comunque efficace di matching lavorativo a fronte di un sistema pubblico dell’impiego inefficiente, specie nei casi di picco stagionale in agricoltura, di incontro tra domanda ed offerta di lavoro? Come si potrebbe cambiare questa situazione?
R. Come già detto poco fa per costruire una valida alternativa al mercato del lavoro agricolo gestito dai caporali, basterebbe attuare e rendere più efficace la parte “propositiva” della legge 199 relativa alla Rete del lavoro agricolo di qualità e alla sua articolazione nelle sezioni territoriali della Rete che, avrebbero il compito di promuovere l’intermediazione fra domanda e offerta di lavoro e l’organizzazione del trasporto dei lavoratori. Per fare questo, occorre modificare la legge al fine di definire con precisione l’iter di costituzione e di funzionamento delle sezioni territoriali e, nel loro ambito di attività, rendere più chiaro e incisivo il ruolo degli enti bilaterali agricoli territoriali quale strumento operativo, non altrimenti sostituibile, attraverso il coinvolgimento dei Centri per l’Impiego o l’implementazione di piattaforme digitali. Purtroppo, queste ultime hanno già mostrato la loro inconsistenza nonostante i cospicui finanziamenti ricevuti dal Piano nazionale di contrasto al caporalato. Il sindacato però non si è tirato indietro di fronte a queste lacune e, tramite il sistema della Bilateralità in agricoltura sono state trovate soluzioni innovative. Ci sono esempi in cui anche con il coinvolgimento dei centri per l’impiego o centri di accoglienza, attraverso formazione specifica, stiamo favorendo il matching tra domanda e offerta di lavoro. In questo modo si sta agevolando l’inserimento al lavoro anche di professionalità sempre più alte. Infatti, l’agricoltura del futuro non richiede solo braccia da sfruttare ma anche profili tecnici specialistici. Basti pensare a come sta cambiando l’agricoltura, all’utilizzo di nuove tecnologie; un’agricoltura che diventa sempre più digitalizzata. Il sindacato è chiamato a raccogliere queste sfide e deve lavorare, con il coinvolgimento delle ambasciate, per favorire percorsi in cui i progetti di formazione siano addirittura realizzati nei paesi di origine. In questo modo si favorirebbe un’immigrazione di tipo economico regolare ma che riuscirebbe, al contempo, a garantire stabilità e integrazione vera; perché il mercato del lavoro agricolo e l’agricoltura italiana in generale hanno bisogno in maniera strutturata dell’immigrazione. Insomma, siamo convinti che le parti sociali, anche attraverso la bilateralità, possano occuparsi di politiche attive del lavoro.
D. Il reato di clandestinità (art. 10 bis T.U. Immigrazione) obbliga l’ispettore alla segnalazione alle autorità di migranti irregolari. Questo di fatto ostacola la collaborazione da parte delle vittime con l’ispettore, per paura di incorrere nell’espulsione. Come si potrebbe rimediare a questo grave problema? Inoltre, molti lavoratori migranti esitano a collaborare con le autorità anche per paura di ritorsioni sia da parte dei caporali che dei loro stessi compagni di lavoro. Quali strategie potrebbero essere adottate per superare questa situazione di violenza e omertà, incoraggiando la denuncia di abusi senza rischi per i lavoratori?
R. La responsabilità della mancata collaborazione dei lavoratori agricoli, in particolare dei migranti sia regolari che, soprattutto irregolari, è da imputare innanzitutto alla scarsa efficacia delle iniziative dei servizi ispettivi al fine di recuperare le mancate retribuzioni in tempi ragionevoli. Inoltre, in caso di lavoratori irregolari, gli ispettori si preoccupano di denunciare il datore di lavoro e il lavoratore all’autorità giudiziaria che emanerà un decreto di espulsione, senza preoccuparsi di tutelarli facendogli recuperare retribuzione e contribuzione anche attraverso l’inserimento nei percorsi di emersione pur previsti dalla normativa vigente ma praticamente non utilizzati. I Servizi Ispettivi dell’Inps puntano a recuperare la mancata contribuzione da parte del datore di lavoro, e non guardano alle conseguenze subite dal lavoratore per quel che riguarda la retribuzione e la regolarizzazione. Ǫuesto malgrado, da quasi 20 anni sia stata introdotta nella legislazione italiana la “Diffida accertativa”, cioè la possibilità di constatare la mancata retribuzione tramite l’emissione di un titolo esecutivo che consente al lavoratore di recuperarla. Le possibili minacce o intimidazioni da parte del datore di lavoro, direttamente o tramite il caporale di turno, sono un problema che certamente esiste, ma prima ancora esite il problema delle ricadute negative sul lavoratore delle attività ispettive.
D. Considerando che l’articolo 18 del testo unico sull’immigrazione è attualmente limitato a pochi casi di grave sfruttamento, quali benefici potrebbero venire da una sua estensione? Come valuti la possibilità di introdurre la protezione umanitaria come incentivo per la collaborazione dei migranti con le autorità?
R. Ritengo che sarebbe un atto di civiltà. A volte si rischia di non distinguere i ruoli e invece dobbiamo essere sempre lucidi e riuscire a distinguere tra sfruttato e sfruttatore. Inoltre, aiuterebbe il lavoratore vittima di caporalato e sfruttamento a collaborare con la giustizia e a sentirsi tutelato.
D. Quali misure specifiche propone la UILA per migliorare le condizioni di vita e di lavoro dei migranti agricoli? Ci sono programmi di costruzione di alloggi per migranti, al fine di superare bidonvilles come quella di Rosarno? Quali altre soluzioni possono essere implementate anche attraverso la contrattazione?
R. È bene precisare un aspetto. Il sindacato ha ruolo e competenza specifica sui temi del lavoro e li esercita, principalmente, da un lato attraverso la contrattazione e, dall’altro attraverso il sostegno e l’assistenza ai lavoratori nelle vertenze per recuperare il furto salariale e contributivo e per risolvere situazioni di sfruttamento lavorativo. Il miglioramento delle condizioni di vita, come ad esempio la costruzione di alloggi per i migranti, è una responsabilità che grava sulle istituzioni, come prevede l’articolo della legge 199/2016, con le quali il sindacato può certamente collaborare. In materia di alloggi, il Piano nazionale anti-caporalato ha stanziato significative risorse che, per quanto possiamo constatare, hanno prodotto copiose analisi sulle carenze alloggiative, interpellando tutti i comuni d’Italia ma nessun effetto concreto sul miglioramento della situazione per i migranti anche nelle zone maggiormente esposte. A livello territoriale, grazie alla contrattazione provinciale agricola, abbiamo esempi virtuosi di iniziative anche a sostegno dei lavoratori migranti. Infatti tramite il sistema della Bilateralità in agricoltura sono stati portati avanti tanti esempi di buone prassi, finanziando diverse misure a sostegno delle lavoratrici e dei lavoratori agricoli e, in particolare, quelli stranieri: trasporto gratuito nei periodi di raccolta, contributo spese per affitto alloggio e sussidi per frequenza a corsi di alfabetizzazione per lavoratori stranieri, rimborsi forfettari a parziale copertura delle spese di viaggio per raggiungere il Paese di origine, traduzione in più lingue dei contratti provinciali di lavoro, promozione dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro.
D. Come possono le comunità locali e altre istituzioni essere coinvolte nella lotta contro il caporalato e nel supporto dei lavoratori migranti? Come pensa il sindacato di coinvolgerle?
R. Il sindacato coinvolge comunità e istituzioni locali quotidianamente e lo fa in modo strutturato attraverso la bilateralità. La solidarietà delle comunità e delle istituzioni sono sempre un valore aggiunto e vanno incentivate. Da sole, però, non risolvono i drammatici problemi dello sfruttamento che devono essere contrastati, innanzitutto, tramite un efficiente ed efficace sistema di vigilanza che faccia emergere lo sfruttamento e si preoccupi di recuperare il maltolto ai lavoratori e di tutelarli.
D. Le risorse attualmente disponibili per le ispezioni nei campi agricoli, appaiono insufficienti. La UILA è d’accordo di aumentare il personale o migliorare la formazione degli ispettori?
R. Sicuramente sì perché gli ispettori sono pochi e, inoltre, devono avere una formazione adeguata e specifica del settore agricolo per poter essere in grado di tutelare i lavoratori sfruttati e vittime del caporalato e assicurare loro la protezione dovuta e, soprattutto, il recupero delle mancate retribuzioni. È bene sottolineare come, su questo tema, è intervenuto recentemente il Comitato per l’applicazione delle Convenzioni dell’OIL, che ha “bacchettato” l’Italia proprio sugli aspetti della quantità, qualità e coordinamento delle ispezioni in agricoltura, raccomandando al nostro paese una più corretta applicazione della Convenzione n. 129 e, in particolare, l’istituzione di un “Fondo di garanzia” per tutelare le vittime del cosiddetto “furto salariale”.
D. In che modo la UILA sta lavorando per supportare e proteggere i lavoratori migranti sfruttati? Quali iniziative o programmi avete messo in atto?
R. La Uila, a tutti i livelli, è impegnata per cercare di creare le migliori condizioni di lavoro e di vita, in particolare dei lavoratori agricoli, in quanto più esposti allo sfruttamento e alle difficoltà derivanti dal rapporto di lavoro stagionale e precario. Lo facciamo, innanzitutto come dicevo prima, attraverso i rinnovi contrattuali, sia a livello nazionale che territoriale. Poi, attraverso le azioni messe in campo dagli enti bilaterali nazionali e territoriali. Ancora, attraverso l’azione di assistenza e tutela giudiziaria dei lavoratori stranieri che denunciano situazioni di sfruttamento e si rivolgono a noi per essere sostenuti.