SALARIO MINIMO
Per legge? No grazie, in Italia è garantito dai contratti di lavoro
di Giampiero Sambucini
Il salario orario minimo di legge esiste da molti anni in paesi civili e democratici, come Stati Uniti, Francia, Australia, Regno Unito e molti altri; dall’anno scorso anche in Germania. Niente di straordinario, perciò, che ci pensi anche il governo italiano.
Salvo che in Italia il “salario minimo” già c’è e poco si presta a manomissioni: lo prevede l’art. 36 della Costituzione che garantisce a ogni lavoratore il diritto a una retribuzione proporzionata alla qualità e quantità del suo lavoro e, in ogni caso, tale da assicurare a lui e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa. L’importo del salario minimo è stabilito e aggiornato dai contratti nazionali di lavoro, i cui minimi tabellari sono da sempre ritenuti “retribuzione equa e sufficiente” (ai sensi, appunto, dell’art. 36) dalla più che consolidata giurisprudenza costituzionale e di legittimità.
Perciò, la fissazione per legge di “un altro salario minimo” si scontrerebbe con molte complicazioni e parecchi paradossi. Innanzitutto perché, se il governo dovesse attribuirgli un importo inferiore a quello contrattuale, la Corte Costituzionale e la Cassazione, per ovvie ragioni di coerenza, dovrebbero ritenere quel salario minimo “iniquo e insufficiente”. Poi perché il governo, nel rispetto dell’art. 36, potrebbe attribuire al salario di legge un valore minimo, ma non anche “unico”, dal momento che quel salario, per essere “equo”, dovrebbe variare al variare della qualità e quantità del lavoro prestato da ciascun lavoratore e, per essere “sufficiente”, dovrebbe essere accompagnato dalla garanzia di numero minimo di ore da lavorare e retribuire.
Infine e non da ultimo, l’art. 36 Costituzione garantisce il diritto alla retribuzione “equa e sufficiente” ad ogni lavoratore, non necessariamente ed esclusivamente subordinato, per cui il salario minimo del governo si applicherebbe a chiunque renda una prestazione di lavoro, autonoma, coordinata, domestica, a domicilio e, con buona pace del “voucher”, accessoria che sia.
Quindi, la troppo semplicistica introduzione del salario minimo per legge, oltre a provocare devastanti conseguenze politiche e sociali, scatenerebbe valanghe di contenziosi, tali da tenere occupate le Corti di ogni ordine e grado per molti anni.
Meglio, molto meglio, quindi, valorizzare quel che c’è e non avventurarsi per vie scoscese e, almeno per l’Italia, inesplorate.
Meglio, molto meglio, quindi, ricondurre il salario minimo alla sua vera e virtuosa funzione di contrasto al lavoro nero e all’evasione fiscale, contributiva e contrattuale, attribuendo “forza di salario minimo” ai minimi tabellari dei contratti nazionali di categoria, garantendone l’applicazione a tutti lavoratori destinatari di un qualche CCNL e, se del caso e se proprio ci si tiene, raccogliendo a sistema le varie disposizioni che in vario modo impongono di corrispondere ai lavoratori non alle dipendenze una qualche forma di compenso minimo, più o meno inderogabile.