Agire in fretta per consolidare la ripresa, l’analisi dell’Ocse per il post pandemia
Di Giampiero Bianchi
Questo recente rapporto intermedio dell’Ocse (l’Organizzazione internazionale per la Cooperazione e lo Sviluppo, con sede a Parigi, nata col Piano Marshall ma che da allora raccoglie e coordina le politiche economiche dei grandi paesi industrializzati) segna un vero e proprio giro di boa negli orientamenti politico-economici dei governi e quindi nella storia dell’economia mondiale. Redatto ad un anno dallo scoppio della Pandemia – e ancora nel pieno di una crisi globale sanitaria, economica e sociale, tanto inaspettata quanto vasta – lo studio ci fa capire quali saranno (ma, in realtà, quali sono già) le strategie politico-economiche dei nostri governi, nei prossimi anni.
E qui cominciano le sorprese perché un quadro che dagli anni ‘80 sembrava immutabile, appare ora rimesso in discussione in profondità: tanto che alcuni autorevoli studiosi cominciano a paragonare la crisi del COVID alla Grande Crisi del 1929-30, quando si prese atto del fallimento del mito liberista della “Mano invisibile” ed ogni Paese entrò a suo modo nel lungo ciclo storico dell’”Economia mista”, o dello “Stato imprenditore” (come si diceva), durato fino alle crisi, monetarie e petrolifere degli anni ‘70.
La prima parte del Rapporto è dedicata alle buone notizie congiunturali, con una ripresa più rapida e migliore del previsto: l’atteso “rimbalzo” economico cioè, dopo il crollo dei primi mesi di blocco delle attività non solo è in atto (nonostante le nuove varianti del virus in circolazione e le nuove chiusure) ma è superiore alle attese seppur diverso da zona a zona e da settore a settore. Le previsioni a breve sono quindi di ulteriore crescita globale (+5% nel 2021 e +4% nel 2022, superiore cioè alle previsioni di dicembre), ma minore nei tempi medi-lunghi e proprio per questo, si sottolinea, non devono smettere le politiche espansive.
Le differenze aumenteranno anche perché, comunque, diverse saranno le politiche di uscita dei vari stati.
In Usa ad esempio la ripresa è sostenuta dalle vistose misure di rilancio del governo, un “Piano di salvataggio” imponente (1900 miliardi di $) e a lungo termine che porterà ad una crescita stabile di consumi e produzioni in America ma che, si spera, aiuterà molto la ripresa globale nel resto del mondo; una crescita a breve più forte si prevede però in Cina, India, Australia e Giappone mentre in Europa sarà più cauta e lenta; saranno più favoriti i settori industriali (gli scambi in manufatti sono già a livelli pre-Covid) mentre difficoltà si prevedono ancora per un po’ nei servizi, specie quelli legati al turismo e al commercio.
Dal punto di vista sociale si osserva un inaspettato e “giudizioso” processo di adattamento dei vari popoli – in salute e lavoro – alle misure d’immobilità e contenimento; lo stesso può dirsi dei comportamenti dei governi anch’essi oggi molto più “giudiziosi” e “mirati” in elargizioni e sostegni (in sanità e aiuti ai redditi) rispetto ai primi mesi di crisi. Gli indicatori mostrano però che anche con essi, in generale, si accentueranno le differenze tra ceti e nazioni: ad esempio andrà molto male ancora per i paesi che vivono di commerci e viaggi, lì dove disoccupazione e licenziamenti sono stati di massa mentre la manifattura comunque ha tenuto e terrà.
I risparmi sono cresciuti ma è la fiducia della gente ad essere ancora molto bassa: l’unica via d’uscita per tutti è, per l’Ocse, una vaccinazione rapida e di massa anche nei paesi in via di sviluppo e meno ricchi, quelli che magari non se la possono pagare del tutto. Di qui le gradite donazioni di milioni di vaccini da USA e Canada e, si spera, dall’Europa.
Finito il quadro congiunturale la prima forte affermazione del Rapporto è il legame strutturale, indissolubile si dice, tra vaccinazioni di massa e vera ripresa economica: “la ripresa – si afferma – in toto dipenderà dalla velocità dei vaccini”. E infatti la prima competizione sarà – ma in pratica già lo è – nei tempi e nei modi di tali campagne. Timori ad esempio ci sono per l’Africa e l’America Latina dove i ritardi delle locali leadership politiche sono evidenti in vaccinazioni, misure di sostegno e investimenti. Europa e Stati Uniti sono quindi invitati, non solo ad accelerare i propri piani nazionali, ma ad aiutare il resto del mondo perché la ripresa, “o sarà di tutti o non sarà”. E solo con una ripresa robusta e globale – si aggiunge – si può pensare di affrontare il tema del debito pubblico e della sua riduzione strutturale.
E di qui si arriva al tema politico più sorprendente (per la sua novità) rispetto all’immediato passato: l’auspicato, incoraggiato, applaudito “ritorno da protagonista della mano pubblica”, quella stessa che negli ultimi decenni si ripeteva essere stata oramai sostituita dalla più moderna ed efficiente azione spontanea del “libero mercato”. Ed invece sembra che sia proprio il “fallimento” dei meccanismi del (solo) libero mercato – quello senza regole e sostegni che, con le estese privatizzazioni e la riduzione sistematica del welfare pubblico, cominciando dalla sanità, doveva risolvere ogni problema – a mostrare i limiti di una tale prospettiva e a spingere per una correzione di rotta non congiunturale.[1]
Si chiede cioè alla mano pubblica, concordata tra le grandi nazioni (N.B. importantissima, si sottolinea, sarà la “cooperazione” tra Stati e aree del mondo) di “continuare” ad operare da protagonista per i prossimi anni, ben oltre la stretta emergenza post-sanitaria: “l’attore pubblico (…) dovrà continuare ad avere un ruolo determinante”, le “politiche monetarie” dovranno essere “accomodanti” e la “paura dell’inflazione globale” non dovrà più “giustificare” l’abbandono di politiche di prestiti e di sostegni; e meno che mai, si aggiunge, si dovranno “interrompere gli aiuti prematuramente e improvvisamente”. Il “debito”, si conclude, “non dovrà essere la priorità”.
Certo, si osserva, il rischio d’inflazione non va sottovalutato e certe misure di cautela vanno sempre prese: come, ad esempio, contenere i prezzi dei prodotti di base, tenere stabili i tassi di cambio, abbassare i tassi d’interesse, magari con un accordo tra le Banche Centrali. Ma l’obiettivo centrale devono restare le politiche industriali, di sviluppo, “ben mirate” e “non generiche”. Occorre quindi “raddoppiare gli sforzi” e procedere alla “erogazione effettiva degli aiuti, utilizzando integralmente tutte le risorse disponibili” per una sana seria stabile crescita.
Ed infatti un altro aspetto interessante del Rapporto è per richiesta di “riforme strutturali” si intendono investimenti “discrezionali” verso settori “ben mirati”, di crescita futura, di lungo periodo.
Riassumendo. Nella seconda parte del suo Rapporto, dedicata alle proposte, l’OCDE in sostanza autorevolmente consiglia:
a) che il debito pubblico non è più una priorità ed anzi sottolinea che esso può ridursi solo con una forte “crescita”;
b) che l’inflazione sì sta risorgendo ma non è il primo dei problemi e che con essa si può convivere purché sia sotto controllo con concordate politiche, monetarie e non solo;
c) che il mercato del lavoro e le sue flessibilità non sono al primo posto per una vera ripresa, anche se ovviamente resta il legame oggettivo tra flessibilità, precarietà e sviluppo (mercati del lavoro e dei prodotti più flessibili aiutano sempre la ripresa) e che occorre piuttosto affrontare le prevedibili grandi modifiche strutturali del Lavoro, di lungo periodo, intervenendo con politiche mirate.
Siamo in sostanza di fronte ad una “grande occasione per rimediare a deficit antichi e nuovi”, “ad antiche debolezze”. Le buone politiche dovranno guidare la nuova resilienza e puntare alla produttività, alla riqualificazione ambientale, all’innovazione e alle aperture senza timori di mercati e persone, sostenendo famiglie e imprese, paesi avanzati e paesi poveri perché solo aiutando chi ha più bisogno si sosterrà la domanda globale e quindi la crescita. La grande pandemia di questi mesi, ci deve spingere, per l’Ocde, verso tale nuova prospettiva.
Saranno le nostre leadership politiche, economiche, sindacali in grado di attuarle?
Perspectives économiques de l’OCDE, Rapport intermédiaire, Agir plus vite pour consolider la reprise. Mars 2021, Editions OCDE, Paris 2021, pp.350
[1] Mi permetto di citare su questo l’ultimo libro del noto politologo V.E.Parsi, Vulnerabili: come la Pandemia sta cambiando la politica e il mondo, Piemme 2021: esso mostra ad esempio mostra come il “comando” del presidente USA ad Astrazeneca di dare in uso gratuito alla rivale Jhonson e Jhonson 2 grandi stabilimenti per produrre in massa vaccini fosse l’esempio più clamoroso del “fallimento del solo mercato”, e della necessità comunque di una forte mano pubblica per una scelta obbligata tra interesse e bene comune.