L’EDITORIALE
Nella nuova piattaforma le scelte strategiche per il futuro
di Stefano Mantegazza
Sintesi dell’intervento di presentazione della piattaforma per il rinnovo del Ccnl a Federalimentare
L’apertura della trattativa per il Ccnl dell’industria alimentare cade in un momento straordinario per il paese, per le persone che lo abitano, per le imprese e per quelle alimentari in particolare. Dopo sette anni di recessione tutti gli indicatori dell’economia virano in positivo: cresce l’occupazione, il Pil, l’export, la produzione, cresce la richiesta di mutui, delle immatricolazioni delle auto, gli investimenti in macchinari e scattano finalmente all’insù tutti gli indici di ripresa. E’ una crescita che ha ancora tante zone d’ombra, ma che promette di essere strutturale.
Il settore agro-alimentare arriva a questo appuntamento avendo reagito meglio dell’insieme della manifattura alla crisi più dura che ha colpito il paese dopo la seconda guerra mondiale. Secondo quanto risulta dai dati di Federalimentare il tasso di crescita del fatturato dell’industria alimentare è stato dal 2007 al 2013 pari al 3,87%. Ogni comparto ha avuto performance differenti e i tassi di crescita più elevati hanno interessato i settori carni, condimenti, dairy (derivati del latte), gastronomia e pasta. Per quanto riguarda la redditività, il rapporto Ebitda/vendite si attesta su una media dell’8,51% con valori superiori al 9% nel biennio 2009-10. Anche in questo caso performance differenti tra un comparto e l’altro: per carni, salumi e olio di oliva i margini aziendali sono stati erosi sia a causa della maturità del business, sia dalla forte competizione sui prezzi. L’export del settore, poi, viaggia a velocità doppia rispetto al Paese:in dieci anni il suo valore è cresciuto dell’83,8% praticamente il doppio rispetto al totale dell’export italiano (+46,1%) e se nel 2004 esportavano all’estero 2 industrie su 10, oggi un’industria su due produce anche per i mercati esteri.
L’Italia alimentare inoltre, anche grazie ad un più alto posizionamento di prezzo dei nostri prodotti, realizza più valore aggiunto: 24 miliardi contro gli 11 della Germania.
Ma questo non è solo l’anno in cui l’Italia esce dalla crisi, questo è anche l’anno dell’Expo, che è una vetrina apprezzata per il nostro Made in Italy agro-alimentare.
E’ significativo che nei primi due mesi dell’esposizione oltre 700 buyer esteri abbiano portato a termine riunioni di affari con le 4.430 aziende presenti nel sistema agro-industriale italiano, 33 capi di Stato e di Governo e oltre 60 Ministri dell’agricoltura abbiano visitato Expo accompagnati da uno stuolo di delegati e rappresentanti commerciali. Nel mondo si moltiplicano i segnali di apprezzamento per il nostro agro-alimentare. Ogni anno 1,2 miliardi di persone comprano un prodotto agro-alimentare del nostro paese e noi siamo orgogliosi di essere i rappresentanti di quelle lavoratrici e di quei lavoratori che con il loro impegno quotidiano consentono ad un numero crescente di consumatori di mangiare italiano.
Per questo, abbiamo avviato questo negoziato con spirito di responsabilità e buon senso forti di un sistema di relazioni sindacali costruito nel tempo che ha sempre consentito di individuare equilibri e soluzioni avanzate, anche nel contesto economico particolarmente difficile che ha caratterizzato gli anni più recenti. Un impegno che solo in questa stagione ha visto le Segreterie Nazionali di Fai, Flai e Uila definire insieme alle controparti industriali 19 contratti di gruppo delle aziende più importanti del Paese.
La piattaforma di Fai-Flai-Uila è stata costruita proprio su questa consapevolezza e guarda al futuro, proponendo nuovi fronti negoziali e nuove scelte strategiche.
È una piattaforma fortemente inclusiva che chiede eguali e maggiori diritti, tutele e formazione per chi lavora nella stessa azienda e che propone di rivedere le norme sulla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, adeguandole alle nuove leggi intervenute.
Abbiamo proposto scelte fortemente inclusive quando parliamo di comunità di sito e quando chiediamo più diritti, più tutele e più formazione per chi lavora nella stessa azienda. Vogliamo un contratto che valga per tutti e, per questo, chiediamo di poter svolgere assemblee anche nelle aziende che hanno meno di dieci dipendenti o la costituzione dei Rappresentanti di bacino o chiediamo, in caso di cambio appalto, la garanzia della continuità occupazionale. Ci preoccupiamo che nessuno resti indietro, anche quando il lavoro è precario e per questo vogliamo ridefinire la disciplina dei rapporti di lavoro a tempo determinato, messa a rischio dal Jobs Act. Vogliamo un contratto nazionale che duri quattro anni affinché la contrattazione di secondo livello possa svolgere a pieno la sua efficacia. Chiediamo che la nostra bilateralità, già valida e importante, si arricchisca di una nuova opportunità: un fondo mutualistico a totale carico delle imprese che integri la NASPI per chi viene licenziato a due anni dalla pensione, in modo da costruire un ponte che consenta a chi perde il lavoro di arrivare senza danni alla pensione e senza subire i taglieggiamenti successivi suggeriti da Governo e INPS e, per ora, per fortuna, non realizzati.
Chiediamo un aumento salariale medio di 150 euro legato alla crescita del Pil del nostro paese per i prossimi quattro anni. Agganciare la crescita delle retribuzioni all’inflazione aveva un senso quando era necessario tenerla bassa, oggi il nemico da battere è la deflazione e l’obiettivo da perseguire è che i consumi interni tornino a crescere. L’aumento salariale servirà, inoltre, a ridurre almeno in parte le diseguaglianze cresciute a dismisura in questi anni di crisi.