L’INTERVISTA
Mantegazza, tanta disinformazione sul tema lavoro
di Fabrizio De Pascale
L’intenzione era di raccogliere un’intervista tradizionale ma, complice la bella giornata e una passeggiata nel verde, ne è venuta fuori una piacevole chiacchierata sui temi del lavoro, dalla quale emerge anche il ruolo, a volte ambiguo, dei mass-media sulla materia.
Domanda. Segretario, dalla fine dell’estate è la terza intervista fatta di domenica. Non potremmo trovare un’alternativa?
Risposta. Perché? La domenica è il momento migliore… Si possono rileggere i “pochi” articoli che meritano, riflettere e ragionare…
D. D’accordo allora cominciamo che se no non arrivo a casa neanche per cena.
R. Puoi fermarti qui se vuoi, ho un’ottima insalata mista da dividere…
D. No, no, grazie. L’insalata l’ho mangiata a pranzo. Piuttosto facciamo quattro passi che è una bella giornata. Allora quali riflessioni ci porta questa settimana?
L’OSCURO OBIETTIVO DI CONFINDUSTRIA
R. in primo luogo un grande chiarimento: è stato svelato l’obiettivo che si nasconde dietro le richieste di Confindustria sulla necessità di definire un nuovo modello contrattuale.
D. E qual è questo obiettivo e, soprattutto, chi lo ha svelato?
R. Alberto Orioli sul Sole 24 ore di giovedì. Un lungo editoriale che inizia con la domanda: “Tutelare l’occupazione o i salari?”, alla quale l’autore si risponde: “è chiaro che la priorità del Paese è quella di creare occupazione”, arrivando a una geniale conclusione “se si vuole creare lavoro non si possono aumentare i salari di chi è già occupato”.
D. E tu, Segretario, che ne pensi?
IL FINTO SCAMBIO + OCCUPAZIONE – SALARIO
R. È almeno un anno che Confindustria chiede al Sindacato una bella “moratoria”: niente aumenti salariali per tre anni. Finalmente questo obbiettivo viene enunciato con chiarezza.
D. Però, lo scambio più occupazione, niente aumenti salariali, in un paese dove la disoccupazione è al 12% non andrebbe scartato a priori…
R. Se fosse uno scambio vero sarebbe anche accettabile, la realtà però è diversa.
D. E sarebbe…
R. Tu sindacato ti impegni, oggi, a non chiedere aumenti salariali, mentre le aziende che vorranno o potranno, domani o dopo, forse assumeranno…
INFORMAZIONE DISTORTA E TENDENZIOSA
D. Messa così, anche a me non sembra una proposta equa. Però si parla anche di aumentare la produttività e di valorizzare i contratti aziendali… Tesi da sempre condivise dalla Uila.
R. Condivise e praticate. Mi chiedo, leggendo certe affermazioni, in che mondo vivono e quali aziende conoscono quei giornalisti e professori universitari prestati alla politica…
D. Qualche esempio per far comprendere meglio ai nostri lettori…
R. Sulla produttività si fa grande confusione per convincere l’opinione pubblica che nelle aziende italiane si lavora poco e male, sostanzialmente per colpa del sindacato.
D. E invece?
R. Nelle aziende alimentari, se il mercato tira, si lavora 24 ore al giorno per 365 giorni l’anno; e se si segnalano difficoltà, si trova il modo di superarle. La gestione degli orari e delle flessibilità è regolata dagli accordi realizzati tra sindacato e imprese, con buona pace dei “criticoni” che non si sa se sono solo disinformati o devono dimostrare tesi di altri.
LA PRODUTTIVITÀ DIPENDE DALL’INNOVAZIONE
D. Ok però un gap sulla produttività oggettivamente c’è rispetto agli altri paesi.
R. Senz’altro però è ingiusto darne la colpa solo al “sistema lavoro”. Gli incrementi di produttività si realizzano, in primo luogo, con l’innovazione continua di processo e di prodotto. Bene, in questi anni, tranne lodevoli eccezioni, la maggior parte delle imprese ha ridotto gli investimenti e si è liberata dei segmenti del lavoro meno efficienti. Le aziende devono tornare a investire perché cresca la produttività, così come il Sindacato deve fare la sua parte sulla flessibilità. Nella nostra piattaforma lo scriviamo e avanziamo proposte concrete. Una su tutte: le aziende devono solo applicare e non ridiscutere le flessibilità negoziate nel contratto nazionale…
DIRITTI SINDACALI A RISCHIO
D. Parliamo di contrattazione aziendale, Pietro Ichino su Repubblica invoca il salario minimo per legge e una contrattazione aziendale in deroga al contratto nazionale.
R. Si riferisce all’intervista nella quale chiede una legge per i sindacati che contestano?
D. Esattamente. Che ne pensi?
R. Quando si afferma che scioperi e assemblee, regolarmente autorizzati, sono “assurdi” senza spiegare i motivi che sono alla base della protesta, si combinano molti guai. Si informano parzialmente e in maniera distorta i lettori, si accredita l’immagine di persone che, nel caso dello sciopero, rinunciano a una giornata di salario perché non hanno niente di meglio da fare…Così si riapre la via a imposizioni di stampo autoritario.
D. Forse esageri?
R. Assolutamente no. Semplicemente prendo atto che un parlamentare del PD, sul quotidiano più letto del paese, chiede di intervenire per legge sul salario minimo e di fare altrettanto sul diritto di sciopero e di assemblea sindacale. Il tutto travisando fatti e distorcendo la realtà. La situazione mi sembra molto grave.
SALARI MINIMI PER LEGGE SIGNIFICA UNA LORO RIDUZIONE
D. Torniamo al salario minimo e alla proposta di Ichino…
R. Chi fa proposte così forti, dovrebbe avere il coraggio di spiegare ai suoi lettori, le conseguenze di queste proposte. In Italia circa il 90% del lavoro è tutelato dai contratti nazionali. L’introduzione di un salario minimo per legge porterebbe, in prospettiva, a ridurre la retribuzione di milioni di italiani. Quello che tratteggia Ichino sarà un paese più ricco o più povero? Dovrebbe spiegarlo ai suoi lettori.
D. Ma poi con la contrattazione aziendale, i salari potranno crescere legati alla produttività…
R. La diffusione della contrattazione aziendale, quale panacea di tutti i mali è un’altra legenda da sfatare. Nel settore alimentare 54.000 aziende applicano il contratto di settore, poco più del 10% ha relazioni sindacali strutturate, il 5% svolge una contrattazione di secondo livello. Certamente, con una fiscalità di vantaggio questa percentuale potrà aumentare ma, chiunque sia in buona fede, comprende che la contrattazione aziendale sarà sempre praticata da un numero marginale di aziende e che senza un contratto nazionale centro regolatore e autorità salariale, il paese è destinato a diventare rapidamente più povero.
RINNOVARE I CONTRATTI, SI PUÒ
D. Quindi in conclusione ci aspetta un Natale di lotta?
R. Non necessariamente. Io penso che ci siano gli spazi utili per rinnovare i contratti e per definire, contestualmente, un nuovo accordo interconfederale. La UIL con la sua proposta ha indicato un percorso possibile: agganciare i salari alla crescita del Pil.
D. Perché questa proposta così originale?
R. Perché vogliamo scommettere sulla ripresa del Paese. E lo vogliamo fare insieme alle imprese. Una ripresa che è già in atto grazie, da un lato, a una congiuntura internazionale favorevole (bassi tassi e prezzi delle materie prime, cambio euro-dollaro favorevole), dall’altro però (è bene ripeterlo), ai grandi sacrifici fatti in questi anni da lavoratori e pensionati. È una ripresa di cui le imprese stanno già beneficiando, insieme alla riduzione forte del costo del lavoro e delle imposte.
D. Quale riduzione?
R. Il governo Renzi ha giustamente eliminato dall’Irap il costo del lavoro e ha ridotto quello contributivo, in particolare per le assunzioni a tempo indeterminato. Ora si accinge a ridurre l’Ires, a mantenere gli sgravi contributivi e a offrire un bonus, una sorta di super ammortamento, a chi investe nella propria azienda. Tirando le somme sono una bella “vagonata” di miliardi a beneficio delle imprese. Credo che, in questo contesto, reperire risorse per rinnovare i contratti sarà meno difficile per le imprese e credo anche che i lavoratori che tutti i giorni con il loro impegno fanno funzionare gli impianti non capirebbero comportamenti diversi.
In fin dei conti, si tratta di dividersi quel che avanza dal Pil dopo il prelievo delle imposte indirette. Se quelle sulle imprese diminuiscono in modo consistente e quelle sui lavoratori no, mi sembra giusto che attraverso il rinnovo del contratto si riequilibri almeno in parte la situazione.
D. E per quanto riguarda l’accordo interconfederale?
R. Si potrebbe fare una grande intesa che parta da un sistema meno macchinoso per il riconoscimento della rappresentanza, che affronti i temi del welfare e ovviamente anche quello degli aumenti salariali. Noi pensiamo al Pil, perché in un mondo che avrà per tanti anni una bassa inflazione, vogliamo legare il sistema retributivo alla crescita del paese, mi sembra una sfida vincente.
D. Ora posso andare a casa?
R. Non parliamo della legge di stabilità?
D. Meglio domenica prossima…
R. D’accordo, comunque stasera in televisione non c’è nulla di interessante…