Il Sole 24 ore di sabato 5 gennaio ha dedicato ampio spazio al tema dell’immigrazione svolgendo delle considerazioni sulle modalità con cui il Giappone sta affrontando una questione destinata a dominare anche il dibattito politico italiano. Condividendo i concetti espressi, abbiamo svolto alcune nostre considerazioni.
Gli stranieri residenti in Giappone sono circa il 2% della popolazione, uno dei valori più bassi dei Paesi Ocse. Il motivo è che, sin dal dopoguerra, i governi nipponici hanno assunto politiche di chiusura all’immigrazione, perseguendo l’omogeneità etnica e culturale del Paese. Ma la situazione è cambiata e questa strategia è entrata in crisi a causa del calo demografico, da un lato, e dell’aumento della domanda di lavoro, dall’altro, soprattutto ai livelli più bassi della manodopera: negli ultimi cinque anni la forza lavoro è diminuita di 4 milioni di persone per l’invecchiamento della popolazione, mentre l’occupazione è aumentata di oltre 2,7 milioni di posti di lavoro.
Per questo il paese ha cambiato direzione, consentendo l’ingresso di manodopera straniera generica, sotto la pressione del mondo imprenditoriale alle prese con una forte carenza di personale. Il governo giapponese stima un fabbisogno non coperto pari a 600 mila lavoratori per quest’anno, in aumento a oltre 1,4 milioni nei prossimi 5 anni.
A ben vedere, la situazione del Giappone è molto simile a quella del nostro paese, da molti punti di vista. Il Giappone, come l’Italia, è uscito sconfitto dalla 2° guerra mondiale e ha poi vissuto un fortissimo boom economico, diventando una delle maggiori potenze industriali; in anni più recenti ha sperimentato la crisi, i pericoli della stagnazione e l’esplosione del debito pubblico, uno fra i pochi più elevati di quello italiano. Infine, per longevità della popolazione e scarsa natalità, il Giappone è primo in assoluto, seguito a ruota dal nostro paese. E anche il tema della sostenibilità pensionistica è d’attualità per entrambi, visto che il rapporto fra pensionati e popolazione attiva tende a sbilanciarsi a favore dei primi con il serio rischio di scompaginare gli equilibri degli enti previdenziali.
In Italia, pertanto, esistono problemi molto simili a quelli che in Giappone hanno favorito un cambio di rotta rispetto alle politiche migratorie. Se effettivamente i problemi sono simili forse anche il nostro paese dovrebbe interrogarsi a fondo su come organizzare il proprio futuro e abbandonare il dogmatismo e la retorica che parlano alla pancia dell’opinione pubblica a favore di un ben più utile pragmatismo che usi la testa.
In Italia il fenomeno dell’immigrazione è vissuto come un’emergenza e spesso si fa confusione tra immigrati e rifugiati, rendendo difficile l’adozione di una politica migratoria di lungo periodo. Occorre risolvere e gestire i problemi legati agli sbarchi, ma è necessario anche guardare oltre e proporre politiche lungimiranti in grado di rispondere alle reali esigenze del nostro paese, abbandonando i populismi e il clima da perenne campagna elettorale. Perché l’Italia ha bisogno dei migranti economici.
La crisi dei rifugiati ha reso il dibattito politico miope. I 6 milioni di immigrati che vivono nel nostro Paese lavorano, pagano tasse e contributi: dichiarano 27,2 miliardi di euro di reddito e versano 3,3 miliardi di Irpef e 11,9 miliardi di euro all’Inps.
Senza innovazione su questo versante l’Italia è destinata a diventare più povera e i suoi residenti sono destinati a diminuire (dagli attuali 60 milioni a 52 tra 40 anni). Sono molti in Italia “i lavori che cercano immigrati”: quante famiglie beneficiano del lavoro delle badanti straniere? Quante aziende industriali e agricole chiuderebbero se non avessero manodopera straniera? Come potrebbe sopravvivere l’industria del turismo senza immigrati che lavorano negli alberghi e nei ristoranti? E come farebbero gli ospedali senza infermieri?
L’Italia dovrebbe dotarsi di politiche esplicite per l’afflusso di “migranti lavoratori” perché i migranti economici, oggi, utilizzano impropriamente il canale dell’asilo. Da 8 anni, infatti, l’accesso legale nel nostro paese per lavoro a tempo indeterminato è chiuso per assenza di un adeguato decreto che determini i flussi in ingresso. Il modo migliore per rispondere alla necessità di manodopera del nostro Paese e limitare i danni dell’invecchiamento della popolazione, è quello di aprire canali legali di ingresso sulla base dei bisogni effettivi dei vari comparti del mercato del lavoro. Serve una governance equa e ponderata dell’immigrazione. Di questo ha bisogno l’Italia per i prossimi anni.