Dopo un’intensa estate di controlli da parte delle forze dell’ordine su tutto il territorio nazionale, il caporalato sarà al centro del vertice convocato dal vicepremier e ministro del Lavoro Luigi Di Maio, presso la prefettura di Foggia, lunedì 3 settembre. I segretari generali di Fai, Flai e Uila, Onofrio Rota, Ivana Galli e Stefano Mantegazza parteciperanno all’incontro, mentre davanti al palazzo della prefettura si svolgerà un presidio organizzato da Fai-Flai e Uila.
“E’ un’iniziativa molto importante che rappresenta un tentativo di dare, a partire dal territorio, una risposta alla tragedia del lavoro nero e dello sfruttamento dei lavoratori in agricoltura, un annoso problema del paese riportato all’attenzione dell’opinione pubblica dalla strage, proprio in provincia di Foggia, di 16 braccianti morti un mese fa in due incidenti mentre tornavano dal lavoro, trasportati dai loro caporali su mezzi insicuri e fuori legge” affermano i tre segretari generali. “Esporremo a Di Maio il nostro punto di vista e le nostre proposte unitarie per combattere questa drammatica realtà. Vogliamo sottolineare con forza che i sindacati ci sono e sono impegnati a costruire una risposta condivisa ed efficace per combattere il lavoro nero in agricoltura, a partire dalla completa attuazione della legge 199 del 2016, in particolare le sezioni territoriali della Rete del lavoro agricolo di qualità che consideriamo come unica alternativa possibile a un mercato del lavoro gestito dai caporali” proseguono Galli, Rota e Mantegazza. “Il nostro auspicio è di trovare nel Governo, nelle istituzioni e in tutte le forze sociali una piena condivisione e un rinnovato impegno sui nostri obiettivi”.
Nel mese di Agosto sono stati numerosi i controlli che hanno portato alle denunce e all’arresto di molte persone che sfruttavano i braccianti agricoli tanto al Sud quanto al Nord. Proprio oggi, dopo aver monitorato per giorni l’attività di braccianti stranieri impiegati nella raccolta di pomodori alla periferia di Foggia, poliziotti e carabinieri hanno arrestato un presunto caporale di 40 anni, con le accuse di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, fermato alla guida di un furgone fatiscente e senza finestrini, a bordo del quale c’erano 15 braccianti di origini africane.
Ma a conferma che il caporalato non è un fenomeno limitato al solo Sud, molteplici sono state le vicende che hanno interessato il Nord, tema sul quale è intervenuto anche il segretario generale Stefano Mantegazza alla trasmissione “Tutta la città ne parla”, su Radio Rai 3.
Sei persone sono state arrestate a Mantova dove, con un vero e proprio blitz in due aziende agricole di Asola, la task force dei carabinieri di Castiglione delle Stiviere ha arrestato un italiano e cinque cittadini del Bangladesh, responsabili del reato di caporalato. In due campi vicini tra i comuni di Asola e Piubega i militari hanno trovato al lavoro 42 persone, tra cui 24 senza un contratto regolare, impiegati nella coltivazione delle zucchine per 12-13 ore al giorno con una paga oraria di 3 euro, che vivevano in condizioni di sfruttamento e guardati a vista da 3 bengalesi incaricati di vigilare sui richiedenti asilo.
Altri sei arresti sono stati spiccati anche nel veronese per falsi certificati. L’inchiesta è partita da un incidente stradale che, a novembre 2017, ha coinvolto, sull’autostrada A13 Padova-Bologna, il furgone nel quale viaggiavano i dipendenti di una cooperativa di Soave che opera nel settore avicolo. Nell’incidente era morto un lavoratore marocchino e altri 11 erano rimasti feriti. L’inchiesta è arrivata a un punto di svolta con l’arresto del medico che avrebbe dichiarato abili al lavoro anche alcuni dipendenti mai visti, addirittura privi del permesso di soggiorno. Con cinquanta euro, in pratica, un immigrato senza identità diventava un lavoratore da mandare nei campi. Seguendo il filone della manodopera illegale gli uomini della finanza sono arrivati ad indagare una cinquantina di persone, travolgendo anche due funzionari dell’Inps.
Diciassette lavoratori, infine, sono stati trovati in nero in un’azienda agricola piemontese. Dei 26 braccianti controllati dal Nucleo ispettorato del Lavoro in una azienda di Peveragno, a una decina di chilometri da Cuneo, 17 erano irregolari. Dodici i macedoni, in Italia con un visto turistico; tra questi anche una famiglia, padre madre e figlia quindicenne, pure lei sistematicamente impegnata nella raccolta e tre minorenni. La titolare, una 57enne, è stata denunciata dai carabinieri per sfruttamento della manodopera e l’irregolare permanenza in Italia di lavoratori sprovvisti del permesso di soggiorno.