L’EDITORIALE
Su pensioni e previdenza integrativa il Governo non può andare avanti da solo
di Stefano Mantegazza
A dicembre 2011 il Governo “tecnico” – sotto l’incalzare dello “spread” oltre i 500 punti e della crescente diffidenza dei mercati internazionali – ha riformato le pensioni ed ha bloccato per i due anni successivi l’adeguamento al costo della vita di quelle superiori a tre volte il “minimo INPS”, pari all’epoca a qualcosa meno di 1500 euro lordi al mese.
Poche settimane or sono, la Consulta ha dichiarato incostituzionale, e per l’effetto, abrogato, la norma che ha disposto quel “blocco”, presentando alla finanza pubblica un conto che, secondo il Presidente del Consiglio, ammonterebbe a 18 miliardi di euro. Somma che il Governo ha deciso di “autoridursi” a poco più di 2 miliardi e di saldare “una volta e basta”, solo in parte ed a parte soltanto dei pensionati.
Perché, dice il Governo, se restituissimo subito tutto a tutti il disavanzo andrebbe alle stelle, salterebbero i conti pubblici e ci ritroveremmo con una nuova procedura europea d’infrazione sulle spalle.
Può esser vero, ma, se anche lo fosse, c’è comunque una bella differenza tra restituire ai pensionati quanto loro dovuto in modi e tempi compatibili con gli equilibri di bilancio e nascondersi dietro la contabilità finanziaria per restituire pochissimo ad alcuni, e niente a tutti gli altri.
Quella differenza misura l’incapacità, se non peggio, del Governo di mettere le mani, invece che nelle tasche di pensionati e lavoratori, sui ben più di 18 miliardi di sprechi, clientelismi, corruzione, indebito finanziamento della politica e dei politici sparsi in 800 e passa miliardi di spesa pubblica. Quella differenza dimostra che anche il Governo che voleva cambiare verso a tutto, al momento di fare cassa ed al pari dei Governi delle precedenti Repubbliche, non sa fare altro che accanirsi sulle pensioni e sui pensionati. Quella differenza è di tanto dubbia legittimità giuridica da lasciare fin d’ora intuire l’imponente contenzioso sul più o meno fedele rispetto delle decisioni della Consulta che si riverserà sulle Corti di ogni ordine e grado.
Giudici ed avvocati faranno il loro mestiere e vedremo come andrà a finire, il sindacato, prima di ricorrere agli uni e di affidarsi agli altri, deve fare e farà il suo, in tutti i modi modi e con tutti i mezzi allo scopo necessari.
Dobbiamo far capire al Governo che sbaglia una volta quando vuol fare tutto da solo e due volte quando pretende di disporre degli interessi e dei diritti dei pensionati, senza discuterne con i sindacati che ne rappresentano la grandissima parte.
Dobbiamo pazientemente spiegare al Governo che al “buco” aperto dalla Corte Costituzionale sta mettendo una toppa assai peggiore del buco stesso, dobbiamo fargli capire, se necessario digrignando di quanto occorre i denti, che di previdenza deve discuterne seriamente con noi, non solo per turare più saggiamente quel buco, ma soprattutto per renderne più equi i trattamenti, più solidi gli equilibri, più flessibili le regole.
Perché il futuro previdenziale di milioni e milioni di lavoratori non può essere ridotto ad una battuta televisiva sulle nonnine che, per godersi i nipotini, sarebbero ben felici di andare in pensione prima del tempo stabilito e di rinunciare ad una trentina di euro al mese.
Caro Presidente del Consiglio, la realtà non è così idilliaca, ad andare in pensione prima del tempo ed a rinunciare a ben più di trenta euro della loro già striminzita pensione finiranno per essere obbligati, invece delle nonnine, i tanti lavoratori che, alla soglia dei settant’anni, la Riforma Fornero costringe a lavorare nei campi, in fabbrica, sui cantieri ed in altri luoghi altrettanto usuranti.
Signor Presidente del Consiglio, se davvero vuole rimediare almeno alle peggiori storture delle continue riforme di ogni precedente riforma della previdenza pubblica, deve convincersi che il suo solitario decisionismo non la tirerà fuori dalle sabbie mobili di un sistema previdenziale deforme, al momento né carne, né pesce, un po’ retributivo, un po’ contributivo ed un po’ entrambe le cose, nel quale l’innalzamento dell’età pensionabile va a braccetto con le “baby pensioni” e le pensioni d’oro per sentenza intangibili con le pensioni minime insufficienti a vivere. Per tacere del groviglio di contraddizioni normative che ha reso il pensionamento una sorta di lotteria, se azzecchi la riforma giusta e non sei nato nell’anno sbagliato, vinci, altrimenti perdi e diventi un esodato.
Pensa davvero, Signor Primo Ministro, di riuscire tutto da solo a sbrogliare un simile guazzabuglio, di potersela vedere tutto da solo con le convenienze e le connivenze politiche e corporative che lo hanno creato e continuano ad ingarbugliarlo? Bisogna fare cose troppo complicate e prendere decisioni troppo difficili per un “uomo solo”, peraltro nemmeno così saldamente al comando. Perché è ormai evidente a tutti che le pensioni pubbliche saranno sempre più modeste e che, se nulla si fa e nulla si decide, i giovani disoccupati o precariamente al lavoro di oggi, domani saranno pensionati poveri e poverissimi.
E’ altrettanto e da ancor più tempo evidente, perciò, che è non solo necessario, ma assolutamente urgente, affiancare alla previdenza pubblica le strutture e le prestazioni previdenziali integrative in grado di compensarne le insufficienze.
Ecco una cosa, Signor Presidente del Consiglio, che nemmeno Lei può fare da solo.
Perché la sola previdenza integrativa all’altezza dei bisogni è quella contrattuale, istituita e regolata per accordo collettivo, finanziata dalla privata contribuzione dei lavoratori e dei datori di lavoro, affidata alla gestione bilaterale delle parti sociali.
Perciò, e per quanto al di sopra di ogni mediazione sociale sia convinto di essere, anche il Suo Governo – piuttosto prima, che poi – dovrà per buon senso e per forza di cose discutere col sindacato di previdenza pubblica ed integrativa, delle attuali e delle future pensioni, di quanto, come e quando restituire ai pensionati in attuazione della sentenza costituzionale.
Non per adempiere ad un rito a favore di telecamera, tanto meno per ingannare il tempo ed i pensionati, ma per ragionare assieme di problemi troppo grandi per un solo Governo, che nessuno può risolvere in proprio, che insistono sul delicatissimo snodo sociale in cui le autonome prerogative negoziali delle parti collettive incontrano la funzione regolatrice della legge e le responsabilità istituzionali dell’indirizzo politico del Governo.
Quello snodo può essere terreno di conflitto, se ognuno vorrà marcare il proprio territorio, escluderne chiunque altro, allargarne i confini a scapito delle altrui ragioni.
O può essere il luogo della sinergia tra politica e società, in cui il libero, rispettoso e democratico confronto tra le proposte di ognuno e le esigenze di tutti consente di armonizzare gli interessi particolari, innanzitutto quelli dei lavoratori e dei pensionati, al più generale interesse del Paese.
Si può, si deve fare, la contrattazione collettiva può e deve fare del welfare di categoria la priorità del rinnovo dei contratti nazionali di lavoro scaduti ed in scadenza.
Il Governo può e deve far di più e di meglio per la previdenza integrativa di categoria, ormai insostituibile “secondo pilastro” del sistema previdenziale, che ha largamente guadagnato il diritto ai sostegni legislativi che diano generale certezza alla costituzione degli Enti Bilaterali e rimuovano dalle ali del welfare contrattuale il “piombo” fiscale e burocratico che ne rallenta il volo e spesso ne ha impedito il decollo.