L’EDITORIALE
Quando la propaganda si scontra con la realtà
di Stefano Mantegazza
Le bugie hanno le gambe corte e le mezze verità zoppicano parecchio.
La verità dimezzata del Ministro Poletti sulle 79000 nuove assunzioni dei primi due mesi dell’anno di cui si è compiaciuto lo scorso 26 marzo ha fatto poca strada, in meno di una settimana ha inciampato rovinosamente sui più completi, più veritieri e meno lusinghieri numeri dell’ISTAT.
Perché tra gennaio e febbraio scorsi, al netto dei rapporti di lavoro in quel frattempo cessati, le assunzioni a tempo indeterminato veramente in più sono stati circa 45000, poco più della metà di quanto con tanto compiacimento annunciato
E, infatti, in quegli stessi due mesi il tasso della disoccupazione non è diminuito, al contrario, è aumentato dal 12,6 al 12,7%.
Appena un decimo di punto, ha detto il Ministro, niente di irrimediabile.
Però, in quello 0,1% ci sono 44000 e passa disoccupati in più, di cui ben 42000 donne, e c’è il balzo della disoccupazione giovanile dal già mostruoso 41,2% di gennaio al 42,6 del mese successivo, oltre il doppio della media europea, al 21,1% ed in diminuzione.
Tanto per restare in Europa, la disoccupazione tedesca ed austriaca, rispettivamente ferma al 4,8 ed al 5,3%, è meno della metà di quella italiana, quella irlandese è del 9,9%, quella francese del 10,6 e peggio che in Italia, prescindendo dal disastro greco, va soltanto in Portogallo, dove arriva al 14,1%, ed in Spagna, dove supera addirittura il 24, mentre la media dell’eurozona è dell’11,3% e nei 28 Paesi dell’Unione è soltanto del 9,8.
Tornando in patria, se invece di considerare le relativamente ballerine variazioni mensili dell’occupazione tra gennaio e febbraio del 2015, se ne confrontano i più affidabili andamenti del primo bimestre del 2015 con quelli dello stesso periodo dell’anno scorso, vien fuori che in questo frattempo il saldo tra i contratti a tempo indeterminato attivati e cessati è positivo per qualcosa più di 19000 unità e che i lavoratori a termine che hanno perso il lavoro sono circa 68000 più di quelli che lo hanno trovato.
In altre parole, se quasi 20000 lavoratori in più hanno avuto un posto di lavoro stabile, il numero di chi ha perso anche il lavoro precario è tre volte più alto, per cui è fondatissimo il dubbio che i nuovi occupati di Poletti nuovi siano solo in modesta misura e che in gran parte vengano fuori dalla trasformazione a suon di incentivi pubblici di precedenti contratti variamente precari in contratti un po’ più stabili.
E non basta, allo 0,1% di disoccupati italiani in più bisogna aggiungere l’aumento dello 0,4% degli “inattivi”, cioè di quanti hanno ormai perso anche la speranza di lavorare, per cui la somma chi ha perso il lavoro e di chi addirittura ha smesso di cercalo arriva ad un mezzo punto tondo di lavoratori che non lavorano e che hanno ben scarse probabilità di lavorare in futuro.
Per riassumere, cresce la disoccupazione, sempre meno donne lavorano, sempre più giovani lo cercano invano, sempre più italiani disperano di trovarlo; davvero poco di cui compiacersi.
E nemmeno è tutto.
Il DEF in corso di preparazione prevede per quest’anno, salvo non impossibili errori ed omissioni , una crescita del PIL tra 0,5 e 0,7%, appena la metà di quanto servirebbe a creare qualche vero posto di lavoro in più, a ridurre il tasso della disoccupazione italiana a valori più europei ed a risollevare quello dell’occupazione, inchiodato ad un per niente rassicurante 55,7%.
A peggiorar le cose, la CIG in deroga concessa l’anno scorso verrà progressivamente a scadenza e, se non si trovano in fretta altri fondi e non si allentano le restrizioni normative introdotte proprio dal Ministero del Lavoro, non potrà essere prorogata, per cui altre migliaia di lavoratori passeranno, nelle statistiche ministeriali, dalla colonna dei formalmente occupati a quella degli ufficialmente disoccupati.
A rincarare la dose, è notizia degli ultimi giorni che la pressione fiscale ha superato il record del 50% del PIL, che le iniezioni di liquidità della BCE hanno abbattuto i rendimenti dei Titoli di Stato, ma non hanno rianimato i consumi e che le imprese, per quanto incentivate a farlo, né investono, né assumono.
Così stando le cose, il Ministro del Lavoro, in luogo di sbandierare claudicanti mezze verità, dovrebbe fare qualche più serio conto con la realtà e con i numeri che impietosamente la misurano
Dovrebbe chiedersi e chiedere al Governo di cui è tanta parte se il Jobs Act davvero valga un milione di nuovi posti di lavoro, se il decreto in corso di pubblicazione sulla conciliazione dei tempi di vita, di lavoro e di cura della famiglia sia all’altezza dello sfacelo dell’occupazione femminile e perché mai la tanto declamata “garanzia giovani” vada a braccetto con la disoccupazione giovanile più alta d’Europa.
Fare e farsi le domande giuste, aiuta a risolvere i problemi assai più del fare e farsi propaganda.