L’EDITORIALE
Qualche riflessione sull’ITALICUM
di Stefano Mantegazza
La nuova legge elettorale, decisamente maggioritaria, migliorerà o peggiorerà la qualità della democrazia italiana? ne cambierà la natura? ne rimescolerà e come la struttura istituzionale?
Studiosi e commentatori si sono esercitati sull’argomento, in primo luogo distinguendo la democrazia “consensuale” da quella “competitiva”.
In estrema sintesi, l’una, modellata da leggi elettorali rigorosamente proporzionali, garantirebbe il pluralismo politico e la rappresentanza parlamentare di tutti i partiti in proporzione alla rispettiva consistenza, ma al costo della debolezza, persino della precarietà dei Governi, costretti ad alleanze parlamentari tanto composite, quanto instabili, soggetti ai condizionamenti, non di rado ai “veti” e persino ai ricatti delle loro stesse maggioranze.
L’altra, costruita su meccanismi elettorali più o meno rigidamente maggioritari, restringerebbe l’ampiezza della rappresentanza politica e parlamentare, ma garantirebbe al partito vincitore delle elezioni, sia pure nel rispetto del diritto delle minoranze a “competere” per la conquista della maggioranza alle successive elezioni, la possibilità di governare da solo, senza alleanze obbligate, senza compromessi parlamentari.
La democrazia della Prima Repubblica è stata sicuramente consensuale, i Governi duravano normalmente meno di un anno, le coalizioni di maggioranza erano spesso infide e quasi sempre litigiose.
Le decisioni politiche più importanti erano non di rado esposte alle imboscate dei “franchi tiratori” o al parcheggio “sine die” su un qualche binario parlamentare morto.
Che il sistema non funzionasse bene fu subito chiaro, tanto che, appena qualche anno dopo la promulgazione della Carta Costituzionale, si tentò di imprimere al sistema politico una svolta, per così dire, “competitiva”, approvando, tra grandi tensioni e scontri anche fisici in Parlamento, una legge blandamente maggioritaria, mai effettivamente applicata e, tuttavia, passata alla storia col nome spregiativo di “legge truffa”.
Parecchi anni più tardi, la Seconda Repubblica, corroborata da alcune più robuste iniezioni di maggioritario nella legge elettorale dell’epoca, ha avuto Governi mediamente più duraturi, ma non per questo sempre stabili ed efficienti, perché comunque costretti a coalizioni elettorali prima e parlamentari poi disomogenee per interessi politici, per radicamento sociale, addirittura per ispirazione ideologica.
Ora l’Italia con la nuova legge elettorale fa un nuovo passo verso quella democrazia competitiva che in un mondo globale in cui le decisioni devono essere rapide e efficaci, a me sembra indispensabile.
L’Italicum – una volta superato il bicameralismo perfetto e riservato alla sola camera dei Deputati sia il potere legislativo, sia quello di accordare o negare la fiducia al Governo – da un canto semplificherà il panorama politico, escludendo dal futuro Parlamento “monocamerale” i partiti che non superino una, peraltro non altissima, (3%) soglia elettorale di sbarramento, dall’altro garantirà al partito che ottenga in prima battuta almeno il 40% dei voti popolari, ovvero che prevalga nell’eventuale ballottaggio tra le due liste più votate al primo turno, una solida maggioranza del 54% nella sola Camera titolata ad approvare le leggi e a dare la fiducia al Governo.
Con la nuova legge elettorale l’Italia sarà più governabile e le sue Istituzioni saranno un po’ meno rappresentative, il partito che vincerà le elezioni, potrà formare da solo il Governo e da solo governare, nominerà un buon numero di pubblici amministratori e di componenti di Organi di garanzia e di rango costituzionale, sempre che riesca a tenere assieme i suoi parlamentari “senza vincolo di mandato” ed a sfuggire al tritatutto delle correnti e delle faide interne.
Basterà questa legge a far diventare “competitiva” la finora più o meno “consensuale” democrazia italiana?
A mio parere non del tutto e di sicuro non da subito.
Perché, per quanto maggioritaria possa essere la legge elettorale vigente, la stessa “rigida” Costituzione Repubblicana è largamente “consensuale”, per taluni versi esplicitamente “consociativa”.
Infatti, i Costituenti hanno chiaramente privilegiato la centralità del Parlamento e la proporzionale rappresentanza di tutti i partiti, anche di modesta e modestissima consistenza elettorale. Hanno costretto l’operato dei Governi in un reticolo di guarentigie costituzionali ed istituzionali, fatto di “pesi e contrappesi”, di voti a maggioranza qualificata, di controlli contabili preventivi e successivi di costituzionalità. Hanno addirittura reso ogni singolo parlamentare, sciolto da qualsiasi vincolo di mandato, arbitro a titolo praticamente personale della sorte delle leggi e del destino dei Governi.
Il partito che, grazie all’Italicum, ottenesse il 54% dei seggi nella futura Camera legislativa, dovrà comunque fare i conti con questo reticolo di guarentigie.
E non saranno conti facili, nel Paese in cui un terzo e passa dei parlamentari al momento siede in banchi diversi da quelli loro assegnati dagli elettori, in cui troppe decisioni si perdono nei mille, incontrollabili rivoli dei gruppi di pressione, degli interessi più e meno confessabili, dei poteri più e meno forti, degli accordi più e meno sottobanco.
Dunque il cammino è appena all’inizio ma la direzione a me sembra quella giusta.
Questo cammino è però destinato a interrompersi rapidamente se Renzi interpretasse il diritto al “premio di maggioranza” come un viatico a compiere ogni scelta da solo.
Può darsi che tra qualche tempo Renzi ottenga, appunto per premio di maggioranza, quel diritto a governare in solitudine che, pochi giorni or sono, gli inglesi hanno conferito a Cameron.
Ma non per questo l’Italia diventerà il Regno Unito e non per questo gli italiani si trasformeranno in sudditi di Sua Maestà, la Camera dei Deputati, anche a riforma istituzionale e costituzionale completata, non sarà mai la Camera dei Comuni che, a suo tempo, ha consentito a Margareth Tatcher ed a Tony Blair, forti di meno del 40% dei voti popolari, di entrare in guerra l’una con l’Argentina, l’altro assieme agli USA contro l’Iraq di Saddam Hussein.
Italicum o non Italicum, nulla del genere è anche soltanto immaginabile in Italia.
Renzi, se vorrà davvero cambiare l’Italia e non soltanto annunciare la sua intenzione di cambiarla, deve convincersi che governabilità è il contrario di guardare con sussiego a chi la pensa diversamente.
Nessuno, nemmeno Renzi può governare le tante e multiformi complessità dell’Italia considerando la mediazione sociale un rito inutile e dannoso, i corpi intermedi della società un fastidio, il confronto con le rappresentanze del lavoro una pratica da sbrigare in fretta e soltanto se proprio non se ne può fare a meno.
Renzi, forse, riuscirà prima o poi a vincere le elezioni ed a formare un Governo a sua immagine e somiglianza.
Ma, prima si rende conto che non basta vincere per prendersi tutto e per decidere tutto sulla testa di tutti, meglio sarà per tutti, innanzitutto per lui.