Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) per il settore agro-alimentare, illustrato dal Ministro Patuanelli in una intervista sul Sole 24 Ore, offre alle imprese e alle persone coinvolte (comprese quelle che lo saranno), una straordinaria opportunità.
Già gli importi previsti per gli investimenti sono eccezionali: 4 miliardi di euro che si aggiungono a quelli legati alla nuova Politica agricola comune (Pac); ma ancora più interessanti risultano le opportunità verso cui saranno indirizzati. L’innovazione tecnologica, l’adeguamento delle strutture irrigue e il rafforzamento dei contratti di filiera sono tre linee di intervento il cui successo potrà fare la differenza per il “food” Made in Italy e per l’economia dell’intero paese.
L’innovazione tecnologica consentirà alla nostra agricoltura passi avanti straordinari sul versante della efficienza produttiva (dove già siamo i primi in Europa) e dell’impatto ambientale. Avremo, inoltre, aziende che sempre più produrranno l’energia loro necessaria da fonti rinnovabili.
Per le nostre strutture irrigue credo si debba parlare, più che di un adeguamento, di una totale riqualificazione. Oggi il nostro sistema recupera a stento poco più del 10% dell’acqua piovana. Si può e si deve fare molto di più. Il nostro paese è, a causa dei cambiamenti climatici, a rischio desertificazione e, a prescindere, abbiamo interi territori dove la certezza delle quantità di acqua necessaria, farebbero decollare economie oggi in caduta libera.
L’investimento sui contratti di filiera, stimato in 800 milioni di euro, risulta, infine, addirittura vitale.
L’equa distribuzione del valore aggiunto, lungo tutti i gradini della filiera, diventa una soluzione obbligata per consentire punti di equilibrio sempre più avanzati per migliorare la qualità delle produzioni, avendo in cambio una giusta remunerazione per l’impresa e per i lavoratori.
In termini più generali, serve al paese e al settore rafforzare le nostre filiere per sostenere quelle più in difficoltà e, soprattutto, per garantire agli italiani approvvigionamenti certi e sicuri e ai cittadini di tutto il mondo di avere sempre più spesso in tavola i nostri straordinari prodotti.
Tutto bene dunque? Personalmente vedo tre colli di bottiglia che rischiano di condizionare la riuscita di questo straordinario progetto se non affrontati con il giusto tempismo e la necessaria determinazione.
Il primo: è necessario cambiare in corsa il sistema pubblico di regole e procedure esistenti, rendendolo più snello, efficace e maggiormente orientato verso l’innovazione e le attività di impresa.
Se non si compie una scelta coraggiosa in questa direzione, rischiamo che l’ammodernamento di impianti, la realizzazione di infrastrutture, la sperimentazione di nuove opportunità vengano danneggiati o peggio bloccati da un sistema amministrativo e burocratico inadeguato.
Una considerazione valida in termini generali ma, purtroppo, ancora di più per il nostro settore.
Il secondo: è necessario programmare un gigantesco piano formativo, sia per le persone già occupate che per quelle che serviranno.
In assenza di questa formazione, l’agricoltore 5.0 rischia di trovarsi da solo a gestire le centraline meteo e i sensori che guideranno le irrigazioni e l’uso dei fertilizzanti.
Si tratta solo di un esempio per sottolineare un rischio che il paese corre: avere una serie di macchine nuove fiammanti e scoprire che non ci sono né piloti né meccanici a sufficienza.
E scoprire in aggiunta di avere una moltitudine di persone disoccupate per non avere la professionalità richiesta.
Il terzo: è un errore pensare che sarà solo la sostenibilità ambientale a guidare le scelte dei consumatori (oltre quelle della qualità e del giusto prezzo).
La sostenibilità sociale deve essere perseguita con la stessa determinazione. La sfida da vincere insieme è proprio questa: conciliare la crescita economica e la creazione di nuovi posti di lavoro qualificati con la sostenibilità ambientale e sociale. Non è solo una scelta etica. Un cibo di ottima qualità, al giusto prezzo, prodotto nel rispetto dell’ambiente ma da lavoratori sfruttati e pagati in nero, avrà vita breve tra i consumatori del mondo post-pandemia, sempre più esigenti e attenti alla qualità, all’ambiente ma anche al lavoro etico.