Caporalato, lavoro grigio e nero, voucher, falsi braccianti e cooperative “inesistenti”, assenza di controlli nel settore agricolo non sono solo una questione italiana. Tutti gli stati mediterranei, come laSpagna ela Grecia, ne sono affetti con modalità differenti, ma con un denominatore comune unico: le condizioni di precarietà e sfruttamento che riguardano decine di migliaia di lavoratori agricoli.
Ad evidenziare le diverse caratteristiche dei problemi del comparto agricolo dell’Europa meridionale un nuovo rapporto dell’associazione ambientalista Terra! dal titolo «E(U)xploitation» – a sottolineare proprio come lo “sfruttamento” sia un problema europeo –che scatta una fotografia dai campi e le serre del Mezzogiorno d’Italia alle regioni spagnole della Murcia e dell’Andalusia, all’area di Manolada in Grecia.
“Da anni noi della Uila denunciamo i problemi connessi allo sfruttamento del lavoro agricolo come un fenomeno di dimensioni europee. Per questo ci siamo sempre battuti affinché venisse riconosciuta e inserita nella Politica Agricola Comune la condizionalità sociale, ovvero il rispetto dei contratti e dei diritti e delle tutele dei lavoratori come criterio vincolante per l’erogazione degli aiuti comunitari. Finalmente il Parlamento europeo ci ha ascoltato, approvando il 21 Ottobre 2020 la clausola sulla condizionalità sociale, e oraci aspettiamo che essa venga confermata dai negoziati in corso tra le istituzioni europee sulla riforma della Pac 2023/2027” ha dichiarato Stefano Mantegazza, segretario generale Uila. “Ben venga dunque questo rapporto, che giudichiamo importante, in quanto mettendo in evidenza le similarità presenti nei vari paesi sullo stesso tema, ci conferma che solo attraverso misure europee sarà possibile affrontare, e sconfiggere, un problema che affonda radici antiche. ”
In Spagna, il rapporto mette in evidenza la forte presenza delle agenzie di lavoro interinale e delle società di servizi(ETT, nella sigla in spagnolo) per l’impiego dei braccianti in agricoltura, in particolare nella Murcia, che con i suoi quasi 470.000 ettari di terreni agricoli, è anche nota come la “huerta de Europa”, l’orto d’Europa (terza regione in Spagna per volume delle esportazioni all’estero di frutta e ortaggi freschi, con un totale di 2,5 milioni di tonnellate).Se i contratti tramite le ETT rappresentano oltre il 55%del totale dei nuovi contratti in tutti i settori nella regione, il peso maggiore è quello del comparto agricolo: 366.000 su 490mila contratti firmati nel 2019 sono stati fatti tramite ETT, quasi il 75%. Cifre denunciate dai principali sindacati spagnoli, come CC OO e UGT, che accusano le imprese di non volere oneri e di affidarsi, per questo, alle ETT, che sarebbero obbligate per legge ad applicare il contratto collettivo di settore, cosa che non avviene quasi mai.
Il reclutamento spagnolo, secondo quanto riporta il rapporto di Terra, è diventato un modello europeo: la cosiddetta contratación en origen, il reclutamento diretto di lavoratori in paesi terzi, quasi completamente assorbito dalle migliaia di contratti fatti in Marocco per portare manodopera a Huelva, la provincia andalusa dove si concentra la quasi totalità della produzione nazionale di fragole, di cui la Spagna è primo esportatore mondiale. Un sistema che nasconde tante zone grigie, a cominciare dalla forte discriminazione di genere nei confronti delle lavoratrici marocchine, sottoposte a sfruttamento e violenze fisiche. Il sistema agricolo spagnolo è inoltre affetto da quella che l’organizzazione di produttori COAG ha definito “uberizzazione”, cioè dalla concentrazione del potere e ricchezza in oligopoli, a cui corrisponde sempre più “un’agricoltura senza agricoltori”. Poche grandi imprese infatti – appena il 6,5 per cento dei proprietari di aziende agricole contro il 94,5 per cento di persone fisiche – catalizza il 42 per cento del valore della produzione. L’impoverimento progressivo degli agricoltori, dunque, li spinge a comprimere dei costi di manodopera bracciantile per mantenere la competitività.
Per quanto riguarda la Grecia, invece, il 90% della manodopera del settore agricolo è composto da migranti, la maggior parte dei quali lavora in modo informale, viene pagata in nero e non è assicurata. L’assenza di controlli è una delle criticità maggiori insieme al fatto che, per anni, i gruppi distributivi e gli importatori di altri Paesi UE si sono preoccupati più della soglia di qualità e dei protocolli di produzione, che degli standard sociali e lavorativi. Un ex agente del SEPE, l’Unità greca di ispezione del lavoro, denuncia la mancanza di un adeguato sistema di verifiche nelle aziende agricole a causa dell’assenza di strumenti idonei nonostante l’istituto, che lavora sotto vigilanza del Ministero del Lavoro, avrebbe legalmente il mandato di controllare l’intero settore privato. Tutto dipende dunque dalle dichiarazioni di impiego dei lavoratori che risultano per lo più opache. I lavoratori appaiono nel database solo quando i datori di lavoro acquistano un voucher (Ergosimo) assicurativo a loro nome che, secondo la legge 4635/2019, deve essere dichiarato nel corrispondente sistema telematico (Ergani) del Ministero del Lavoro che, però, non è stato ancora stato attivato.Inoltre, visto che i cedolini sono emessi sempre alla fine della prestazione lavorativa, le ore lavorate e quelle dichiarate potrebbero non coincidere.
La debolezza dei controlli permette al sistema agricolo greco di sopravvivere, in una filiera composta da una pluralità di piccole e medie imprese (il 98%del totale) che operano su una superficie media di 6,8 ettari, esposte alle pressioni di pochi e forti soggetti della commercializzazione e della distribuzione. Questi ultimi, infatti, non di rado mettono in competizione i fornitori e ritardano i pagamenti, chiedendo sconti per accelerare le procedure. Inevitabilmente, le pressioni della filiera sugli agricoltori generano sforzi volti alla riduzione dei costi di produzione. E nel ridurre dei costi di produzione, il lavoro è sempre il bersaglio primario. Nei casi in cui i piccoli produttori si trovano sul filo del rasoio, possono facilmente ricorrere al lavoro informale. Quelli più grandi, invece, uniscono lavoro formale e lavoro non dichiarato, sullo stile del lavoro grigio documentato in Italia.