Il Decreto legislativo n. 81/2015, che ha messo in campo il riordino delle tipologie contrattuali (cd. Codice dei contratti) previsto dal Jobs Act, per la prima volta equipara totalmente i contratti collettivi di secondo livello a quelli nazionali.
L’articolo 51, infatti, specifica la definizione di “contratto collettivo”, intendendo per tale sia quello nazionale che aziendale o territoriale. In questo modo, si amplia a 360 gradi il campo di intervento delle intese di secondo livello perché il Decreto, nelle varie norme (salvo espresse eccezioni), fa riferimento genericamente ai “contratti collettivi” di ogni livello.
Sembrerebbe superato, in questo modo, l’art. 8 del DL. 138/2011 sugli “accordi di prossimità” che consente intese in deroga sia al CCNL che alla legge entro certi limiti e per obiettivi definiti, come creare maggiore occupazione, incrementare la competitività, gestire crisi aziendali ecc. Poiché parte delle materie previste dall’art. 8 può ora essere disciplinata da normali accordi di secondo livello (aziendali o territoriali) con minori vincoli, è presumibile che le intese di prossimità saranno sempre meno utilizzate.
Dopo il Jobs Act, i contratti aziendali o territoriali “ordinari” per molte materie non necessitano più di una delega specifica da parte dei CCNL ma, al contrario, hanno la stessa valenza giuridica di questi ultimi. Qualche esempio: possono disciplinare le clausole elastiche e il lavoro supplementare nel part-time, possono individuare i casi in cui è possibile ricorrere al lavoro a chiamata e fare importanti modifiche nel lavoro a tempo determinato e nella somministrazione (limiti percentuali, proroghe e rinnovi, durata, definizione delle attività stagionali ecc.).
In sostanza, quello che emerge dal testo complessivo del decreto è che per il legislatore gli accordi decentrati sono la sede privilegiata in cui ricercare soluzioni ai problemi di gestione dell’orario e dell’organizzazione del lavoro. Principio già sancito dalla Riforma Fornero e da altri provvedimenti successivi, ma mai in maniera così decisa e ampia.
È una novità che avvia il sistema delle relazioni sindacali verso mete al momento confuse. A maggior ragione è necessario, come sostiene la Uil, un accordo quadro che definisca un nuovo sistema di contrattazione.
Va inoltre sottolineato come, ancora una volta, il Governo proponga alle parti di fare le nozze con i fichi secchi. Incoraggia a parole la contrattazione decentrata ma, nei fatti, riduce gli incentivi: la detassazione dei premi di produzione, già ridotta all’osso, è stata cancellata in toto per il 2015.
La Uila chiede da tempo che l’incentivazione della produttività conseguita attraverso intese di 2° livello sia ampliata e resa strutturale, in modo da far partecipare realmente i lavoratori ai vantaggi legati all’andamento aziendale. Potenziare il ruolo degli accordi di gruppo o di sito azzerando le risorse per la detassazione, va nell’unica direzione di ampliare le richieste imprenditoriali di flessibilità nell’organizzazione del lavoro.
Nel mare magnum di riforme portate dal Jobs Act non troviamo, purtroppo, il cambio di rotta che aspettavamo: occorre una svolta vera, che ponga al centro il lavoro, incentivando i salari di produttività e di conseguenza i consumi.