Che conseguenze ha avuto, e sta avendo, la Pandemia sui salari e l’occupazione? In particolare, i salari minimi – siano essi definiti per legge o per contrattazione (come avviene in Italia) – che trend hanno avuto negli ultimi mesi? Chi è stato più colpito dalla crisi? Quale il ruolo delle politiche di sussidi ai redditi? E infine che fare per futuro? Queste alcune delle questioni e dei temi affrontati nell’ultimo Rapporto mondiale sui salari (2020-21) dell’OIL, l’Agenzia delle Nazioni Unite dedicata ai temi del lavoro.
Il Rapporto, uscito in questi giorni a conclusione di un anno segnato da un’imprevista e globale crisi che può essere definita di natura “sanitario-economico-sociale” ha un sottotitolo significativo: “Le retribuzioni e i salari minimi ai tempi del COVID 19”.
Un autorevole testo internazionale che, già nella premessa, fa una riflessione che tocca da vicino l’Italia: i salari “reali” negli ultimi 4 anni (2016-19), prima cioè della crisi del COVID, erano aumentati in tutto il mondo con tassi varabili (di più nei paesi emergenti di meno negli antichi paesi industriali) ma con tre eccezioni: l’Italia (più di tutti), il Giappone e la Gran Bretagna. Nel dettaglio: in 136 paesi, negli anni pre-Pandemia la crescita globale dei salari reali era oscillata infatti tra l’1,6 e il 2,2 per cento; aumentati più rapidamente in Asia e nel Pacifico e nell’Europa orientale, e molto più lentamente in Nord America e nell’Europa settentrionale, meridionale e occidentale. Con pochissime eccezioni e tra esse, prima, appunto l’Italia.
Un’affermazione che va al cuore del dibattito sull’efficacia del nostro sistema contrattuale e che dovrebbe far riflettere chi nega che nel nostro paese ci sia, oramai da due decenni, una vera e propria “questione salariale”. [1]
Passando all’attualità dell’ultimo anno, attraversata dal COVID, il Rapporto evidenzia come al contrario del periodo precedente i salari mensili siano diminuiti o cresciuti più lentamente nei primi sei mesi del 2020 a causa della Pandemia. Una crisi che ha causato e causerà probabilmente, dice il Rapporto, una forte pressione al ribasso sui salari del prossimo futuro; ribasso che colpirà sempre più in modo sproporzionato lavoratrici e i lavoratori con basse retribuzioni.
Vero è che i salari medi di un terzo dei paesi analizzati sono sembrati aumentare ma ciò è in larga parte dovuto al numero considerevole di lavoratori che percepivano basse retribuzioni che ha perso il lavoro e – non essendo più inclusi nei dati relativi ai lavoratori dipendenti – ne ha alterato la media. Positivo è invece il giudizio dell’OIL per quei paesi in cui sono state adottate misure rigorose per preservare l’occupazione: in essi gli effetti della crisi si sono manifestati attraverso un calo dei salari piuttosto che in una riduzione massiccia di posti di lavoro.
Non tutti i lavori sono stati ugualmente colpiti dalla crisi.
L’impatto sulle donne è stato peggiore rispetto agli uomini. Secondo le stime basate su un campione di 28 paesi europei, senza i sussidi salariali, le lavoratrici avrebbero perso l’8,1 per cento del loro salario nel secondo trimestre del 2020, rispetto al 5,4 per cento per i lavoratori maschi.
Ma la crisi ha colpito duramente in generale tutti i lavoratori con basse retribuzioni. I lavoratori meno qualificati hanno perso più ore di lavoro rispetto ai lavori specializzati, manageriali e ad altre professioni maggiormente remunerate. Guardando in particolare i dati di 28 paesi europei, il rapporto mostra che, senza sussidi temporanei, il 50 per cento dei lavoratori europei con basse retribuzioni avrebbe perso il 17,3 per cento del proprio salario. Senza i sussidi, l’importo medio dei salari persi sarebbe stato pari al 6,5 per cento per tutti i gruppi di lavoratori; i sussidi salariali hanno invece compensato il 40 per cento di questa perdita.
A questo punto l’Oil, tramite il suo direttore generale Guy Ryder avverte: “L’aumento delle disuguaglianze causata dalla crisi del COVID-19 potrebbe far aumentare il livello di povertà e di instabilità sociale ed economica con effetti devastanti” E consiglia: “I piani di ripresa devono essere incentrati sulla persona. Sono necessarie politiche salariali adeguate che tengano conto della sostenibilità dei lavori e delle imprese, che affrontino le disuguaglianze e la necessità di sostenere la domanda (…). Se vogliamo costruire un futuro migliore, dobbiamo anche soffermarci sul perché i lavori ad alto valore sociale, come i prestatori di assistenza e gli insegnanti, sono molto spesso legati a bassi salari”.
Sempre nel Rapporto c’è poi un’analisi dei vari sistemi di salario minimo che, per l’OIL, potrebbero avere nel futuro un ruolo importante per una “ripresa sostenibile ed equa”. Vero è che tali sistemi sono attualmente in vigore, in qualche forma legislativa o contrattuale, nel 90 per cento degli Stati membri dell’OIL ma non sono perfetti, anzi. Il Rapporto evidenzia infatti che, anche prima della pandemia, circa 266 milioni di persone – il 15 per cento di tutti i lavoratori dipendenti nel mondo – guadagnava meno del salario minimo orario, sia a causa della non conformità rispetto alle disposizioni sul salario minimo, sia perché tali lavoratori erano legalmente esclusi da tali sistemi, sia per la diffusione dell’economia informale. Un gruppo sociale in cui le lavoratrici sono ovviamente sovra-rappresentate.
Che fare? “Un salario minimo adeguato può proteggere i lavoratori con basse retribuzioni e ridurre le disuguaglianze”, ha affermato Vazquez-Alvarez, una delle autrici del rapporto. “Per far sì che le politiche sui salari minimi siano efficaci, è necessario però adottare anche un insieme di misure organiche e inclusive. Misure che richiederebbero una maggiore applicazione delle disposizioni sul salario minimo, l’estensione a un maggior numero di lavoratori e la fissazione dei salari minimi ad un livello adeguato e aggiornato che permetta alle persone di costruire una vita migliore per sé stesse e per le loro famiglie”.
Sul tema del salario minimo, a livello europeo, è in corso un serrato e approfondito dibattito dopo che, appena insediatasi la nuova Commissione, la sua presidente, Ursula Von der Leyen, ha proposto di definire uno strumento legale dell’Unione per assicurare a tutti i lavoratori europei un salario minimo equo. La Uila, sicuramente favorevole, in via di principio, ritiene però che esista il rischio, da respingere con forza, che dietro questa proposta si possa celare il tentativo di permettere o giustificare un livellamento al ribasso dei livelli salariali. Per questo la Uila condivide la tesi della Confederazione europea dei sindacati (Ces), la quale, ha dichiarato, “si opporrà a qualsivoglia iniziativa che metta in pericolo il ruolo delle parti sociali e che possa danneggiarne l’autonomia e il ruolo nella fissazione dei salari nel quadro dei sistemi della contrattazione collettiva”. La Uila ritiene, infatti, che la contrattazione collettiva sia l’unico strumento da utilizzare per cercare il punto di equilibrio tra i bisogni delle aziende e le necessità delle lavoratrici e dei lavoratori.
Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL), Rapporto mondiale sui salari (2020-2021). Le retribuzioni e i salari minimi al tempo del Covid 19, Ginevra 2020, pp.212
[1] Per approfondire la questione salariale italiana nel suo stretto rapporto con la mancata riforma della nostra struttura contrattuale, vedi le lezioni del prof Leonello Tronti, a Roma Tre , pubblicate integralmente in facebook, nel sito “crescita produttività contrattazione”