L’EDITORIALE
Le promesse non mantenute del Governo Renzi
di Stefano Mantegazza
Le adesioni allo sciopero di Cgil e Uil (oltre il 60%) e la partecipazione massiccia alle manifestazioni hanno trovato spazio, il giorno dopo, solo nelle pagine interne dei media.
Niente di strano, fino a quando politica e poteri hanno pensato che la nostra lotta fosse poco più che un’azione folcloristica ci hanno dato un po’ di corda; accortisi che le persone sono arrabbiate sul serio e che le nostre proposte raccolgono crescenti adesioni, ci hanno rapidamente oscurato.
Sono rimasti in campo solo quei giornalisti incaricati di lavorarci ai fianchi e che, anziché informare i lettori su ciò che accade, sostengono la tesi di una “santa alleanza” tutta politica tra sinistra PD, altre sinistre, insieme a Cgil e Uil, che strizzerebbe l’occhio anche ai cosiddetti antagonisti e ai veri professionisti del disordine.
Tanta preoccupazione, astio e disinformazione da un lato, ma anche tanto consenso e partecipazione dall’altro, ci fanno capire che siamo sulla strada giusta e che dobbiamo insistere nella nostra azione che ha un solo obiettivo: cercare di cambiare una politica economica e i provvedimenti sul lavoro che riteniamo dannosi per il paese prima ancora che per i lavoratori.
Avremmo voluto confrontare con il governo le nostre proposte, offrirgli le nostre valutazioni. Come è noto, non abbiamo trovato disponibilità e quindi è stata inevitabile la scelta dello sciopero generale e di insistere con le nostre pressioni.
Arriva in queste ore la notizia di un possibile incontro con il ministro del lavoro. Temo che, come gli altri, sarà più di forma che di sostanza ma, come sempre, noi saremo all’appuntamento con spirito costruttivo.
Anche per questo ritengo sia utile, in questo editoriale di fine anno, riepilogare le promesse non mantenute dal presidente del consiglio, gli errori che il governo anche in queste ore sta compiendo e che rischiano di costare molto caro all’Italia e, infine, le proposte del Sindacato.
Renzi e l’Europa
Se vi raccontano di miracolosi successi del semestre di presidenza Ue dell’Italia non credeteci, sono pure invenzioni. Eravamo partiti per cambiare l’Europa, abbiamo ottenuto una flessibilità nel rapporto deficit-Pil dello 0,1 per giunta solo fino a marzo, poi i conti dovranno tornare in ordine pena l’avvio di nuove procedure di infrazione.
E il piano Juncker da 315 miliardi in tre anni che il presidente del consiglio ha presentato come sua grande conquista, lo strumento che doveva rilanciare sviluppo e occupazione? Si è scoperto che dispone, a malapena, di soli 20 miliardi, peraltro provenienti da budget già destinati ad altro scopo e ricollocati; un vero specchietto per le allodole.
Il semestre di presidenza italiana non cambia dunque l’indirizzo fin qui perseguito dall’Ue.
L’Europa continuerà a dibattersi tra stagnazione e recessione, i suoi 26 milioni di disoccupati cresceranno e l’Italia sarà il paese dove cresceranno di più.
Ci vorrebbe, come chiede la Uil, un progetto di sviluppo trainato da investimenti molto più consistenti (il triplo?) ma all’orizzonte non si vede nulla del genere.
L’insuccesso europeo del nostro Premier è evidente e, come ha scritto Scalfari sulla Repubblica del 14 dicembre, Renzi rischia di essere rottamato prima a Bruxelles e poi a Roma.
Renzi e i tagli alla spesa pubblica
È forse questa la più grande sconfitta di Renzi. La “revisione della spesa pubblica”, scelta strategica per risanare il paese e liberare risorse da investire per la crescita, è stata rinviata a data da destinarsi.
Le partecipate pubbliche da abolire sono ancora tutte lì. L’uso della Consip per razionalizzare gli acquisti della P.A. rimandata a tempi migliori. Il buon Cottarelli, è stato rispedito negli “States” con il primo volo utile.
È comprensibile che Renzi non voglia incontrare il sindacato che di quei tagli è sempre stato un convinto assertore. Senza realizzarli è lecito che l’Europa dubiti di noi e soprattutto il paese non sarà mai in grado di ripartire.
Renzi e i costi della politica
In Italia 145.000 politici costano al paese 7 miliardi € l’anno; un esercito che, sempre più spesso, finisce agli onori della cronaca perché opera su convenienze che si chiamano appalti o gestioni di municipalizzate. A Roma, Venezia e Milano, non si può più parlare di partiti ma di organizzazioni tribali in lotta per la spartizione del paese. Anche in questo caso i fatti sono diversi dai propositi annunciati dal governo: conti alla mano, nel 2014 i costi della politica cresceranno ancora oltre il 2%. Un’altra promessa non mantenuta.
Renzi e la legge di stabilità
Definita come la legge di svolta per far ripartire il paese, cambiandone il verso, è clamorosamente contraddetta dalle tabelle che l’accompagnano. Basta leggerle per capire che l’Italia del 2015 sarà molto simile a quella di oggi. Non scenderà la pressione fiscale ma crescerà il debito pubblico, non si ridurrà la disoccupazione ma cresceranno le disuguaglianze. La pressione fiscale non può diminuire se non si taglia la spesa pubblica improduttiva e la disoccupazione non si riduce perché per legge non è mai stato creato alcun posto di lavoro. L’Italia continuerà a oscillare tra recessione e deflazione riducendo il proprio tessuto produttivo.
Renzi e il Jobs Act
Con una legge delega di dubbia costituzionalità, al presidente del consiglio (e al suo ministro del lavoro) è riuscito, come ha detto con chiarezza il presidente della commissione lavoro del senato Maurizio Sacconi, ciò che non era riuscito ai precedenti governi, Berlusconi in testa.
Le nuove regole del lavoro operano una evidente cessione di potere a favore delle imprese e, allo stesso tempo, negano qualsiasi attenzione verso le nuove schiavitù di chi raccoglie arance e pomodori. È un esempio emblematico per sottolineare che la cessione di sovranità dai più deboli ai più forti avviene in un paese dove precarietà e lavoro nero sono il filo che lega il destino di milioni di persone.
Il cosiddetto contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti non farà altro che aumentare questa precarietà, tutto il contrario di quello che i buontemponi della maggioranza raccontano in giro.
Spiego il perché: per le aziende è molto conveniente ma non si applica alle nuove assunzioni, quindi è presumibile che, per approfittare della nuova normativa, verranno, in molti casi, licenziati lavoratori che attualmente hanno un contratto a tempo indeterminato.
Le aziende assumeranno dunque altri lavoratori in sostituzione al solo fine di lucrare lo scarto contributivo (oltre 28.000 euro in tre anni). Al termine del triennio li licenzieranno al costo di circa 4-5 mensilità di stipendio, per tornare ad assumere con i contratti a termine. Una bella porcheria!
Ma il Jobs Act non è solo questo. Riduce le retribuzioni, generalizzando l’uso dei voucher; le riduce con l’introduzione del salario minimo di legge che non è la risposta giusta al lavoro nero. È il grimaldello che scardinerà la contrattazione nazionale e quindi avrà come conseguenza un’ulteriore riduzione delle retribuzioni reali.
Questa legge aumenta la precarietà perché commisura l’indennità di disoccupazione all’anzianità contributiva, penalizzando maggiormente proprio quelle figure che, a chiacchiere, il governo dice di volere tutelare meglio del sindacato: i giovani, che di anzianità contributiva ne hanno poca e gli stagionali che, in quanto tali, ne hanno poca comunque. E quando il governo a queste figure, riduce la cassa integrazione, toglie la mobilità, comprime la cassa in deroga, accorcia tempi e quantità della indennità di disoccupazione, non fa altro che creare nuove povertà e nuovi drammi.
Le nostre proposte
Questi sono alcuni dei motivi di merito, non ideologici né politici, per i quali la Uil ha scioperato il 12 dicembre e per i quali continueremo la nostra mobilitazione.
Dall’Europa all’Italia, passando per la legge di stabilità e il Jobs Act, noi temiamo che le scelte messe in campo da questo governo siano letali per il paese anche se speriamo con tutto il cuore di sbagliarci.
La nostra mobilitazione e le azioni future vogliono dimostrare che un’altra politica economica è possibile, anche se Renzi (come Letta-Monti-Berlusconi) non l’ha voluta fino a oggi praticare.
Bisogna tagliare in profondità la spesa pubblica improduttiva con un programma pluriennale serio e rigoroso.
Questa scelta è obbligata anche per tagliare i nodi evidenti che legano tanta parte della politica al malaffare e alla corruzione. A tal proposito l’inasprimento delle sanzioni approvate in consiglio dei ministri, affronta una parte del problema (quello della pena) ma non le condizioni in cui il malaffare prolifica.
Le risorse recuperate devono essere utilizzate per sostenere le aziende virtuose. Non tutte, solo quelle virtuose, che investono per produrre ricchezza, rispettano i contratti e pagano le tasse.
Una parte di risorse recuperate potrà essere investita anche per estendere il bonus 80 € a incapienti e pensionati che percepiscono meno di 1.000 € ed è una vergogna. Così si libereranno le risorse per rinnovare il contratto dei dipendenti del pubblico impiego, atteso da 5 anni.
Così facendo, non sarà necessario tassare la previdenza integrativa e il Tfr come intende fare il governo con la legge di stabilità. Solo in questo modo si reperiranno le risorse per una vera riforma degli ammortizzatori sociali da estendere a tutti e perché le tutele anziché decrescenti siano sul serio e non per finta crescenti.
Suggeriamo infine di eliminare dalle azioni di governo ogni scelta provvisoria. A prescindere dalla non condivisione, è provvisoria l’operazione sul Tfr, è provvisoria la decontribuzione; potrebbero poi caderci sulla testa possibili aumenti Iva, tasse e accise se, come è molto probabile, non ci saranno ripresa e sviluppo.
Il paese, le aziende e le persone hanno bisogno di certezze per investire su se stessi, mentre questo governo introduce tasse retroattive, elimina vantaggi fiscali appena approvati, fa delle aleatorietà il suo modello di sviluppo.
La finisco qui, per non scoraggiarvi ulteriormente. Arrivano le feste!
Fermiamo gli orologi che scandiscono il tempo del nostro impegno sindacale, beviamoci un ottimo spumante italiano, brindiamo alla luna e ributtiamoci nel lavoro per provare a cambiare in meglio questo paese.