L’EDITORIALE
Le imprese ritrovino il coraggio (smarrito) di investire
di Stefano Mantegazza
La settimana scorsa l’ISTAT ci ha dato due buone notizie: a luglio il PIL italiano è cresciuto più del previsto, sia pure soltanto di un decimo di punto, e la disoccupazione è diminuita di mezzo punto abbondante, addirittura quasi del 3% tra i giovani, scendendo al 12%, il livello più basso degli ultimi tre anni.
Poi, mentre ad Ankara si apriva un G-20 particolarmente importante, sono arrivate notizie meno buone.
La BCE ha rilevato che l’inflazione europea tende a crescere assai più lentamente del “quasi 2%” necessario ad archiviare definitivamente la recessione europea e fondamentale obiettivo del Quantitative Easing di Draghi, al quale obiettivo si avvicinerà solo a fine 2017, dopo ancora quasi due anni di ristagno dei consumi.
Il FMI si è presentato ad Ankara con previsioni tutte al ribasso sulla crescita mondiale, dell’Eurozona e dell’Italia per svariati decimali di punto.
FMI e BCE non hanno aderito al “partito dei gufi”, hanno soltanto preso atto del rapido venir meno delle favorevoli condizioni internazionali – rivalutazione del dollaro, petrolio a buon mercato, vigoroso contributo della Cina e dei Paesi Emergenti alla crescita mondiale – che hanno finora più che considerevolmente sostenuto, pur in tempi di recessione, la domanda e gli scambi globali.
Di qui è venuta gran parte della comunque lenta ripresa europea e di qui arrivano in ampia misura le buone notizie dell’ISTAT per l’Italia.
Però, se il mondo cresce di meno o addirittura smette di crescere, si riducono più che in proporzione i vantaggi assicurati ai Paesi esportatori, Italia compresa, dai bassi prezzi dei prodotti petroliferi e dal “dollaro forte”.
Tanto più che le quotazioni del petrolio prima o poi risaliranno e che la FED, nel marasma finanziario innescato dalla “sindrome cinese” e nel timore di una “guerra dei cambi” a colpi di svalutazioni competitive, rimanda di settimana in settimana, nessuno può dire fino a quando, il rialzo dei tassi americani e la riduzione del suo Quantitative Easing, così imprimendo una battuta d’arresto, che potrebbe diventare inversione di tendenza, all’apprezzamento del dollaro sull’euro.
Insomma, tutto sembra dire che l’Italia meno può ed ancor meno potrà contare sul favore delle circostanze esterne. Per questo, se non vogliamo avere altre cattive notizie, dobbiamo far più conto su noi stessi, sulle “fondamentali leve dello sviluppo” che da noi dipendono e sulle quali noi possiamo agire: i consumi e gli investimenti.
E c’è tanto spazio per agire su una domanda interna depressa da anni ed anni di recessione, c’è tanto spazio, con i tassi dell’interesse praticamente a zero, perché tornino ad investire le imprese che hanno finora “tirato i remi in barca”, hanno chiuso fabbriche e delocalizzato impianti.
Confindustria, prima di salire in cattedra per impartire lezioni su tutto e lanciare moniti a tutti, ricordi a sé stessa che la base produttiva del paese si è ristretta di oltre un quarto anche perché le sue imprese hanno smesso di investire.
Ricordi alle sue imprese ed a sé stessa che gli imprenditori sono tali se rischiano ed investono, che il rischio dell’investimento ne legittima la funzione economica e la rappresentanza sociale.
Certo, gli imprenditori e le imprese devono ritrovare il coraggio di rischiare, smarrito nelle contorsioni della crisi, e ricominciare a credere nel futuro del Paese, ma occorre anche, soprattutto dell’altro, perché la domanda e la produzione interne rialzino davvero la testa.
I consumi languono sotto il peso dell’altissimo prelievo fiscale che assottiglia i redditi dei lavoratori, dei pensionati, della grandissima parte delle famiglie italiane.
Le imposte sulle imprese hanno ormai superato da tempo la soglia oltre la quale è massima la reticenza ad investire e minima la convenienza a produrre.
Renzi vuole una Legge di Stabilità all’insegna della riduzione delle tasse ed ha rigorosamente difeso il diritto del Governo a ridurle da recenti ed indebolite interferenze di anonimi “ambienti europei”.
Benissimo, vada avanti, per il non poco che conta saremo al suo fianco.
Se lascerà più soldi in tasca ai lavoratori, ai pensionati ed alle famiglie, se l’attività d’impresa sarà meno taglieggiata dal Fisco e se il costo del lavoro sarà meno oppresso dalle imposte, le cattive notizie dall’estero ci faranno meno paura, l’attuale crescita dello “zero virgola” arriverà ai punti interi, i posti di lavoro aumenteranno sul serio, oltre i recenti balletti dei numeri e senza bisogno di manomettere i diritti dei lavoratori.
Certo, ridurre le tasse è facile a dirsi e difficile a farsi. Tuttavia bisogna farlo, nel solo modo “virtuoso” possibile, riducendo la spesa pubblica, nei cui sprechi, nei cui clientelismi, nelle cui inefficienze c’è di che alleggerire sostanzialmente una pressione fiscale ormai non solo economicamente, ma moralmente insopportabile.
Siamo stati spesso in disaccordo col Governo troppo compiacente con le pretese confindustriali, che ha ridotto le tutele del lavoro ed ha lasciato via libera all’aumento di tasse statali e locali.
Applaudiremo con convinzione il Governo che, per dare alle imprese il coraggio di investire ed ai consumatori quello di spendere, darà a sé stesso il coraggio di spendere e tassare meno, molto meno!