La prestazione lavorativa “eccedente”, che supera cioè di gran lunga i limiti previsti dalla legge e dalla contrattazione collettiva per diversi anni, cagiona al lavoratore un danno da usura-psico fisica la cui esistenza è dimostrabile in via presuntiva, poiché costituisce una violazione del diritto garantito dall’art.36 della Costituzione.
Questo principio è stato ribadito dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 26450 del 29 settembre 2021, con la quale è stata confermata la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno in favore di un dipendente per lavoro straordinario prestato oltre il limite massimo previsto dalla legge e dal contratto collettivo.
Come già stabilito in precedenti pronunce, la Suprema Corte, contrariamente a quanto lamentato dal datore di lavoro, ha ritenuto che per il riconoscimento del diritto al risarcimento del danno non fosse necessario allegare prove circa l’esistenza, la natura e l’entità del danno subìto e del nesso causale con la prestazione lavorativa svolta. Al contrario, la sussistenza del danno può essere desunta dalla sola prospettazione del numero di ore straordinarie svolte e del periodo di riferimento, che sono elementi sufficienti a rilevare “l’abnormità” della prestazione lavorativa svolta, tale di per sé a compromettere l’integrità psico-fisica e la vita di relazione del lavoratore.