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La svolta “etica” del capitalismo: teoria e prassi

Di Fabrizio De Pascale

25 Novembre 2019
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Il proposito di un’azienda non deve essere più solo quello di assicurare profitto agli azionisti. Prima di questo obiettivo occorre, nell’ordine: 1) offrire valore ai clienti, dandogli soddisfazione e superandone le aspettative; 2) investire nei dipendenti, ricompensandoli equamente e fornendo loro nuovi benefits come formazione e educazione; 3) trattare in modo equo ed etico con i fornitori; 4) supportare le comunità circostanti e proteggere l’ambiente, adottando pratiche sostenibili in tutte le attività. Solo dopo aver soddisfatto queste quattro esigenze l’azienda potrà dedicarsi a generare valore a lungo termine per gli azionisti, costruendo con loro rapporti trasparenti.

A sostenerlo sono gli amministratori delegati (Ceo) di 181 colossi dell’economia americana (tra i quali Apple, General Motors, IBM, Bayer, Coca-Cola) che, complessivamente, producono un fatturato annuo di 7 trilioni $ (7 miliardi di miliardi) con 15 milioni di addetti, riuniti intorno alla Business Roundtable, un’associazione istituita nel 1972 che si propone di promuovere un’economia fiorente per gli Stati uniti. Dal 1978 la Business Roundtable pubblica periodicamente dei “principi” di governo societario e, dal 1997, ha sempre sostenuto che le aziende esistono principalmente per servire i propri azionisti.

La “svolta” è avvenuta lo scorso 19 agosto con una nuova “dichiarazione” sugli scopi aziendali, che ha destato interesse ma anche critiche. “Gli americani” si legge nella dichiarazione “meritano un’economia che consenta a tutti di avere successo… e di condurre una vita di significato e dignità”. Il sistema del libero mercato è “il mezzo migliore” per generare buona occupazione, un’economia forte e sostenibile, innovazione, un’ambiente sano e opportunità economiche per tutti. In questo sistema economico “le imprese svolgono un ruolo vitale…”. “Ciascuna ha un proprio scopo aziendale” ma tutte devono condividere “un impegno fondamentale” nei confronti degli altri stakeholders. Impegni che sono, appunto, quelli descritti in apertura di questo articolo.

Le voci più critiche ritengono questa dichiarazione come una “fiera di ovvietà” fatta di “osservazioni banali prive di qualsiasi impegno concreto”. Il “Financial Times” suggerisce, invece, come chiave di lettura della dichiarazione “una risposta politica alla crescita dei movimenti populisti e sovranisti cha hanno attecchito puntando sul fatto che i governi hanno lasciato mano libera alle aziende a discapito della condizioni sociali e ambientali”.

Al di là delle critiche e delle possibili spiegazioni, il manifesto della Bussiness Roundtable segna comunque un importante punto di svolta perché rappresenta, comunque, una dichiarazione di principi assolutamente innovativa che sovverte la legge fondamentale del capitalismo che vede nella massimizzazione del profitto il fine primo e ultimo dell’impresa, introducendo il concetto di etica: del lavoro, dei rapporti sociali, dell’ambiente.

Allo stesso modo si può, altresì, affermare che, al di là dei fiumi di parole, il concetto di responsabilità sociale d’impresa, nato negli anni ’50, deve essere inteso e misurato con gli atti e le azioni messe in campo dalle imprese che vanno oltre i limiti imposti dalla legge e che servono a migliorare le condizioni di lavoro e di vita dei lavoratori e l’impatto ambientale dei processi produttivi. Miglioramenti che, nella pratica quotidiana del sindacato, vengono perseguiti attraverso la contrattazione collettiva.

Ben venga, quindi, l’enunciazione di buoni principi in attesa dei fatti, che devono però arrivare in fretta. Solo così quei principi potranno attuarsi e i loro estensori essere considerati credibili.

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