GIORNO PER GIORNO
L’incerto futuro del Jobs-Act senza incentivi
Nel 2008 gli italiani senza lavoro erano 1,7 milioni; a marzo di quest’anno sono quasi raddoppiati (3,3 milioni). Poi ad aprile, primo mese di applicazione del Jobs-act e dei nuovi contratti a tutele crescenti (meno art. 18 ma 8.000 euro l’anno, per tre anni, di agevolazioni in più), l’ISTAT ha rilevato 159.000 occupati in più e uno 0,2% di disoccupazione in meno.
Di sicuro una buona notizia, da verificare e da confermare nei prossimi mesi. Non è ancora abbastanza per ricacciare il mostro della disoccupazione nella sua tana ma pur sempre una buona notizia, di cui il Governo rivendica il merito, dal suo punto di vista non a torto perché, al netto dei nuovi posti di lavoro che i pur timidi e flebili cenni di ripresa avrebbero comunque creato, è indubbio che il Jobs-act ha fornito alle imprese oltre 8.000 buone ragioni l’anno per assumere.
Il Presidente del Consiglio, assieme al merito della buona notizia di aprile, però, deve anche prendersi l’onere di rispondere a due domande:
1) le imprese continueranno ad assumere anche quando, a fine 2015, i nuovi contratti a tutele crescenti non saranno più incentivati?
2) Di qui a tre anni, quando i generosi incentivi finiranno per tutti, cosa ne sarà dei lavoratori assunti grazie ad essi?
Domande difficili sulle quali, nell’attesa di una risposta del Governo, proviamo per l’intanto a rispondere noi. Quando il corpo della società è debilitato da tre milioni e passa di disoccupati, agevolazioni e sconti sono palliativi, al momento utili, ma di sicuro non sono il ricostituente in grado di risanarlo. Serve la terapia della crescita e robuste trasfusioni di risorse da spesa pubblica e tasse verso le retribuzioni, le pensioni, gli investimenti, i consumi, la produzione.
Altrimenti, della fiammata di un mese dell’occupazione, resteranno soltanto le ceneri di un altro fuoco di paglia.