GIORNO PER GIORNO
Il vero “cuneo” su cui dovrebbe impegnarsi il Governo
L’ISTAT ha di recente certificato che, tra il secondo semestre del 2014 e la metà di quest’anno, le retribuzioni lorde sono “statisticamente” cresciute dell’1,3%, mentre il costo totale del lavoro sarebbe aumentato “solo” dello 0,9%.
E’ una buona notizia, soprattutto in tempi di rinnovo dei più importanti Contratti Collettivi di categoria.
Infatti, dimostra che nei mesi scorsi il costo del lavoro è cresciuto meno rispetto ai pochi spiccioli arrivati in tasca ai lavoratori e smentisce con la forza dei numeri quanti, da sempre, ripetono che il costo del lavoro si può ridurre soltanto riducendo i salari. Conferma inoltre che è possibile rendere il lavoro italiano più concorrenziale, senza comprimerne la remunerazione.
Con vantaggio di tutti, delle buste-paga dei lavoratori, del conto economico delle aziende e, soprattutto, della competitività della produzione nazionale.
Una sorta di “quadratura del cerchio”, che i conti dell’ISTAT rendono facilmente riconoscibile.
Perché, fatto 100 l’ammontare delle retribuzioni lorde, degli oneri sociali e del costo totale del lavoro nel 2010, a metà 2015 le une erano aumentate di 8,8 punti, gli altri di 8,1 e l’altro ancora di 8,7.
Queste differenze dello “zero virgola” sono più rilevanti di quel che a prima vista appare.
Vogliono innanzitutto dire che la riduzione dei contributi e dell’IRAP intervenuta quest’anno ha rallentato la crescita del costo del lavoro, rispetto a quella delle retribuzioni.
Vogliono anche dire che i salari dei lavoratori e la competitività delle imprese si giovano della riduzione del “cuneo fiscale e contributivo” che, paradosso tutto italiano, sequestra agli uni quasi la metà di quanto costano alle altre.
Vogliono soprattutto dire che il Governo, invece di arzigogolare su manomissioni legislative dei diritti sindacali e del lavoro, potrebbe e dovrebbe impegnarsi a ridurre ancor più decisamente quel “cuneo”.
Con vantaggio tanto del potere d’acquisto dei salari e del contenimento dei costi d’impresa, quanto della sempre meno smagliante credibilità dello stesso Governo.