SINDACATO
Il Colosseo e l’assemblea della discordia
Col decreto il governo sceglie la strada sbagliata
Forse ci sarà stato anche un cortocircuito nell’annunciare al pubblico l’assemblea degli addetti al Colosseo, lasciando varie centinaia di turisti ad attendere sotto il sole. Resta il fatto che essa era stata regolarmente richiesta e convocata.
E’ quindi troppo comodo scaricare le responsabilità dell’ennesima brutta figura davanti agli occhi del mondo su custodi e sindacati, soprattutto alla luce del fatto che l’assemblea era stata annunciata da una settimana.
Ha sbagliato dunque ancor più la, si fa per dire, “competente” Sovraintendenza che, avvertita per tempo, ha autorizzato l’Assemblea dello scandalo, senza provvedere a quanto necessario, se non a garantire comunque l’accesso all’Anfiteatro Flavio, almeno ad avvertire per tempo il pubblico della sua “ritardata apertura”.
Se ognuno ha commesso il suo errore, il Governo ha sbagliato di più e rischia di sbagliare ancora.
Il primo vero errore è continuare a relegare l’arte a settore non prioritario. A parole, il rilancio economico e competitivo del nostro Paese passa sempre dalla valorizzazione dei nostri innumerevoli beni culturali. Nei fatti, però, l’arte viene trascurata e questi beni vengono lasciati, per lo più, abbandonati a loro stessi senza progetti di recupero né investimenti.
Basti pensare che l’investimento in cultura non supera lo 0,19% del Pil, meno di un quarto di quanto spendeva l’Italia nell’immediato dopoguerra (nel 1955) e la continua riduzione degli stanziamenti di questi anni è andata di pari passo con la riduzione del personale. In tutta Italia, secondo dati del ministero dei beni culturali, sono previsti complessivamente 7735 custodi, e anche se ne risultano in servizio 300 in meno, tale cifra è di gran lunga lontana dai circa 10 mila previsti vent’anni fa e dagli 8.917 del 2010.
Il primo errore sta dunque nel non salvaguardare il nostro patrimonio culturale con risorse economiche adeguate e personale qualificato.
Salvo poi dichiararlo “servizio pubblico essenziale” in caso di assemblea sindacale di lavoratori che, peraltro, non percepiscono da Novembre 2014 la retribuzione del cosiddetto salario accessorio (dentro al quale rientrano anche reperibilità notturna, aperture straordinarie, festivi e superfestivi per una decurtazione di circa il 20-30% dello stipendio).
Il secondo errore sta nell’aver legiferato, addirittura d’urgenza, all’evidente e non istituzionalmente nobile scopo, di blandire la “pubblica indignazione”, di intitolarsene le momentanee simpatie e di segnare un punto contro l’avversario di turno, nel caso il sindacato. Se il Governo avesse utilizzato un decreto per garantire il diritto essenziale dei lavoratori a percepire la loro retribuzione, in modo puntuale secondo il contratto, non ci sarebbe stata alcuna assemblea. Invece si è preferito limitare il diritto a riunirsi e, se necessario, a scioperare.
Questo è esattamente quel che fanno i tanto esecrati “populisti”, quando raccattano consenso di non altissima lega all’inseguimento dell’indignazione per vere o presunte malefatte dei “politici”, quando impugnano l’immigrazione accreditata come “selvaggia” per sparare palle incatenate di paura e di rancore contro chi al salvataggio ed all’accoglienza degli immigrati deve provvedere.
Costoro sono pronti a fare in futuro anche di peggio ed il Governo che, vogliamo sperare in buona fede, ne segue di fatto le orme, finisce, perciò, per peccare della medesima spregiudicatezza.
Il Governo ha commesso un errore inutile, perché gli occasionali sussulti della pubblica opinione cambiano rapidamente forma e verso, e chi oggi plaude al Governo che “ha messo a posto” il sindacato, già domani applaudirà chi promette di “mettere a posto” il Governo.
A pensar male, diceva una persona d’ingegno, si pecca ma spesso ci si azzecca.
Questo Governo ha oramai da tempo intrapreso una strada pericolosa che ha come obiettivo quello di mettere una volta per tutte il sindacato “per legge al suo posto”, in un luogo sociale abbastanza angusto da non disturbare il manovratore. Ha ottenuto dal Parlamento la delega ad introdurre il “salario minimo legale”, da qualche tempo minaccia di legiferare sulla rappresentanza delle parti sociali, sulle prerogative contrattuali del sindacato e sullo stesso diritto di sciopero.
Abbiamo “tenuto botta” e proseguiremo, qualcuno, però, spieghi a Palazzo Chigi che il salario minimo di legge porrebbe non piccoli problemi di compatibilità con l’art. 36 della Costituzione, visto che l’art. 39 vieta al legislatore di imporre ai sindacati obblighi diversi dalla loro finora non attuata e verosimilmente inattuabile registrazione presso un qualche pubblico ufficio. Per di più, non sarebbe facile, forse nemmeno possibile subordinare ad una qualsiasi “procedura collettiva” l’esercizio dell’individuale diritto di sciopero.
Per uscire d’impaccio, cogliendo al balzo l’incresciosa vicenda dell’assemblea al Colosseo, il Governo pare aver ripiegato su una diversa “equazione politica”: dilatare a dismisura l’universo dei servizi pubblici essenziali e, simmetricamente, l’ambito della regolamentazione dell’ancorché individuale esercizio del diritto di sciopero.
Però, una volta imboccata la china del considerare per legge servizio pubblico essenziale l’accesso ai musei ed a non meglio precisati “luoghi della cultura”, tutto può diventare essenziale e, se tutto lo diventa, nulla lo è davvero. Perché c’è un limite, non solo di buon senso, ma anche costituzionale alla possibilità di considerare “per legge essenziale” quel che obiettivamente e ragionevolmente non lo sia.
A dimostrazione e conferma che saltare ogni mediazione sociale ed usare la legge come una clava, in una parola “tirare dritto”, non è un buon modo di governare.
E la storia insegna che nemmeno porta granché fortuna.