PARTE LA RACCOLTA FIRME
Due proposte di legge per costruire un paese migliore
I segretari generali della UIL Carmelo Barbagallo e della Uila Stefano Mantegazza hanno depositato il 18 settembre, presso la sede della Corte di Cassazione in Roma, la richiesta per l’avvio di una raccolta firme in vista della presentazione di due proposte di legge di iniziative popolare in materia di pensioni, welfare e sostegno all’occupazione femminile e alla genitorialità.
“Il sostegno al reddito, le pensioni, il lavoro di cura” ha sottolineato Barbagallo “sono temi ai quali occorre dedicare il massimo dell’attenzione e dell’impegno possibile, per affermare una società dei diritti, delle tutele e che non sia destinata alla povertà. Ecco perché su questi aspetti generali, abbiamo deciso di supportare l’attività sindacale con un’iniziativa fondata sulla partecipazione di tutti i cittadini”.
“Oggi in Italia, un disoccupato si ritrova, in pochi mesi, in una condizione di forte indigenza, mentre le coppie che lavorano rinunciano, sempre più spesso, a fare figli e molte donne sono costrette a scegliere tra lavoro e famiglia” spiega Mantegazza “Con la nostra iniziativa vogliamo riportare questi temi al centro dell’agenda politica del paese e costruire il più ampio consenso possibile sulle nostre proposte”.
Vediamo nel dettaglio i contenuti delle due proposte di legge.
Sostegno alla genitorialità, all’occupazione femminile e alla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro per madri e padri.
La proposta nasce dalla consapevolezza del fatto che le mamme e i papà che lavorano hanno sempre più bisogno di aiuto nella gestione della vita familiare mentre il welfare pubblico non riesce a sopperire a queste esigenze. Il risultato è che molte donne rinunciano al lavoro e, dall’altro, si assiste a un calo drammatico delle nascite. Per fare figli serve anche una sicurezza economica, difficile da avere, tra precarietà e tempi di crisi e soprattutto se in famiglia c’è un solo stipendio. Inoltre se non ci sono nonni disponibili, la gestione dei bambini, oltre che costosa, diventa anche molto complicata.
Per ridare fiducia a un paese che sembra non sperare più nel suo futuro, occorre promuovere il valore sociale di una genitorialità condivisa
La nostra proposta, quindi, mira a rafforzare le misure a sostegno dell’occupazione femminile, sostenere la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, sanare lo squilibrio e la disuguaglianza tra sessi nell’accesso al mercato del lavoro e nelle retribuzioni.
In particolare, l’articolo 1 innalza dall’80% al 100% della retribuzione l’indennità riconosciuta dall’INPS alle lavoratrici per tutto il periodo di congedo di maternità obbligatorio. La copertura economica integrale dei cinque mesi di maternità obbligatoria è da anni riconosciuta da molti contratti collettivi di lavoro ma, com’è noto, ci sono moltissime lavoratrici che non godono di questa opportunità e un Paese all’avanguardia non può fare la spending review sul ricambio generazionale e su coloro che saranno gli uomini e le donne di domani.
L’articolo 2 aumenta da quattro (nel 2018) a trenta i giorni di congedo obbligatorio del padre, da usufruire nei primi mesi di vita del bambino in aggiunta al congedo obbligatorio della mamma, indennizzati dall’INPS al 100% della retribuzione. Questa norma va nella direzione auspicata di incentivare i padri a farsi maggiore carico del lavoro di cura, cambiando approccio culturale nelle politiche pubbliche volte a sostenere la genitorialità che hanno visto finora la mamma come principale figura di riferimento per la crescita dei figli e promuovere maggiormente la condivisione delle responsabilità genitoriali. L’articolo 3 introduce la possibilità, per entrambi i genitori, di utilizzare il congedo parentale facoltativo (sei mesi complessivi entro i 6 anni di età del bambino), incrementando l’indennità corrisposta dall’INPS per tale periodo dal 30% al 50% della retribuzione. Come già sottolineato, i genitori che scelgono di astenersi dal lavoro per stare con i figli sono sempre di più perché il welfare pubblico non è in grado di sopperire alle loro esigenze: i posti negli asili nido non sono mai sufficienti e le istituzioni private sono molto costose, come pure baby-sitter o educatori a domicilio. Scegliere il congedo parentale vuol dire, però, rinunciare a una grossa fetta della propria retribuzione, proprio nel momento di maggiori spese per una famiglia, i primi mesi di vita di un bambino. Innalzare l’indennità INPS dal 30% al 50% della retribuzione non risolve, certo, tutti i problemi delle famiglie meno abbienti ma costituisce senz’altro un enorme passo in avanti per un Paese che punta alla crescita demografica e allo svecchiamento della popolazione.
Infine, per valorizzare maggiormente il contributo delle donne alla vita economica e sociale del Paese, all’articolo 4 è prevista, al termine del congedo obbligatorio di maternità, la possibilità di lavorare part-time dalla fine della maternità obbligatoria fino al compimento del primo anno di età del bambino (quindi anche oltre i sei mesi attualmente previsti) e senza la corrispondente riduzione della retribuzione.
Modifiche alla Naspi, estensione dell’APE Sociale alle categorie di lavoratori che ne sono esclusi.
Questa proposta riguarda i disoccupati e coloro che perdono il lavoro a pochi anni dalla pensione e che oggi sono esclusi dall’anticipo pensionistico gratuito. Per quanto riguarda i disoccupati, il nuovo trattamento di disoccupazione NASpI, introdotto dal sostiene il reddito al massimo per 24 mesi, con un assegno mensile proporzionato alla retribuzione media degli ultimi quattro anni, che si riduce del 3% a partire dal quarto mese di percezione. Ciò significa che chi beneficia dell’assegno per il massimo della durata (due anni), alla fine percepisce un importo ridotto di circa il 50% rispetto a quello iniziale. La NASpI, inoltre, diversamente dai precedenti trattamenti di sostegno al reddito, prevede un tetto massimo di accredito della copertura figurativa della contribuzione pari a 1.820 euro lorde al mese, calcolato sulla retribuzione media mensile percepita dal lavoratore negli ultimi quattro anni. Il tetto, soprattutto se la NASpI è fruita a pochi anni dal pensionamento, può comportare una penalizzazione gravissima per retribuzioni medio-alte, riducendo significativamente il futuro assegno pensionistico. La nostra proposta di legge intende aumentare le garanzie per chi ha perso il lavoro, specialmente a pochi anni dalla pensione. L’articolo 1 mira, quindi, a garantire un assegno di disoccupazione dignitoso per tutto il periodo di godimento della NASpI, abrogando il décalage del 3%, mentre l’articolo 2 elimina il tetto alla contribuzione figurativa e evita ai disoccupati, già di per sé svantaggiati per aver perso il lavoro, di subire un ulteriore danno al momento dell’accesso alla pensione.
Per quanto riguarda proprio la pensione, sono note a tutti le gravissime ripercussioni della Riforma Monti-Fornero del 2011 su coloro che hanno perso il lavoro in prossimità dell’età per il pensionamento, che non sono riusciti a rioccuparsi e hanno visto slittare in avanti di diversi anni il requisito anagrafico per l’uscita dal mondo del lavoro. La legge di Bilancio 2017 ha introdotto in via sperimentale l’Anticipo Pensionistico gratuito, che consente dal 1 maggio 2017 l’uscita anticipata dal mondo del lavoro per coloro che abbiano compiuto 63 anni di età (o li compiano entro il 31 dicembre 2018), possiedano almeno 30 anni di contributi previdenziali e rientrino in una delle categorie stabilite dalla legge. Attraverso questo istituto è possibile ricevere un’indennità mensile parametrata sul futuro assegno pensionistico fino al momento dell’effettivo pensionamento. Si tratta di un’opportunità importantissima che presenta, però, qualche lacuna e che esclude una fetta importante di lavoratori. In particolare, il requisito contributivo di 30 anni (36 per i soggetti di cui alla lettera d) del comma 179 della legge) di fatto taglia fuori tutti quei lavoratori discontinui che, lavorando pochi mesi all’anno, non riescono ad avere una copertura contributiva così ampia; si pensi, in particolare, ai lavoratori stagionali dei diversi settori (industria, turismo, ecc.), che raggiungono magari il requisito minimo di vecchiaia per la pensione (20 anni) ma ai quali viene assurdamente negata la possibilità dell’Anticipo Pensionistico. Inoltre, l’accesso al beneficio è generalmente consentito ai disoccupati purché tale status sia conseguente a licenziamento, anche collettivo, dimissioni per giusta causa o risoluzione consensuale in DTL. Questa formulazione della norma fa sì che il beneficio dell’Anticipo Pensionistico sia precluso a tutti coloro che hanno avuto da ultimo un rapporto a tempo determinato cessato per scadenza del termine, ivi comprese le centinaia di migliaia di lavoratori stagionali che da sempre lavorano solo per determinati periodi dell’anno in quanto le attività cui sono addetti sono strutturalmente caratterizzate da picchi stagionali di produzione.
L’articolo 3 prevede, quindi, al primo comma, l’estensione dell’APE sociale a coloro che genericamente abbiano perduto involontariamente la propria occupazione e siano in stato di disoccupazione. Inoltre, lo stesso comma riduce il requisito contributivo per l’Anticipo Pensionistico gratuito da trenta a venti anni, come è attualmente previsto per la pensione minima di vecchiaia.
Il secondo comma dell’articolo 3 affronta un’altra grave iniquità contenuta nella legge di Bilancio e sempre relativa all’Anticipo Pensionistico cosiddetto “sociale”: tra le categorie di soggetti che possono accedere al beneficio ci sono alcune tipologie di lavoratori inserite in un elenco tassativo allegato alla Legge. L’elenco non contiene gli operai agricoli e i lavoratori della pesca: si tratta di una esclusione ingiustificata e discriminatoria, ma soprattutto incomprensibile: sono forse i braccianti agricoli e pescatori addetti a lavori meno faticosi degli altri soggetti inseriti?!
Per questo, il secondo comma dell’articolo 3 aggiunge al citato elenco gli operai agricoli e i lavoratori della pesca. Siamo consapevoli del fatto che si tratta di una misura sperimentale e che le risorse sono limitate ma riteniamo più equo che sia stabilito un ordine in base alla presentazione delle domande e che le stesse siano così soddisfatte, sino a esaurimento delle risorse, piuttosto che ne derivi l’esclusione aprioristica di alcune categorie di lavoratori.
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