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La Cassa che cambiò il Mezzogiorno

16 Luglio 2019
in La Lettura
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La Cassa che cambiò il Mezzogiorno

Gruppo Messaggerie

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Luigi Scoppola Iacopini

La Cassa per il Mezzogiorno e la politica (1950-1986)

Editori Laterza, Bari-Roma 2018, pp.319

 

Il libro ricostruisce, sulla base di fonti d’archivio per lo più inedite, la complessa storia della Cassa per il Mezzogiorno dal Dopoguerra agli anni’80 sottolineandone in particolare il difficile rapporto con la politica, i partiti e le altre istituzioni del nostro Paese: ne esce un primo bilancio storico, lontano dalle polemiche di partito, di quella che è stata l’istituzione economico-politica forse più importante, ma anche più discussa e contrastata della nostra storia repubblicana.

Nata sull’onda della Ricostruzione dai disastri della guerra – particolarmente gravi in un Mezzogiorno già di suo depresso e arretrato – contemporanea della Piano Marshall e della Riforma agraria, la Cassa fu voluta come ente solo tecnico, sul modello di quelli del New Deal di Roosevelt, per progettare, finanziare e coordinare, in una visione unitaria e di lungo periodo, lo sviluppo economico e sociale del nostro Mezzogiorno e aiutarne l’ingresso nella modernità.

Se nessuno può negare, osserva l’A., gli indubbi successi dei primi anni ’50 e ’60 nel costruire le infrastrutture di base (acqua, luce, gas, fogne, strade, bonifiche, forestazione…) che cambiarono letteralmente il paesaggio del Mezzogiorno (fino ad allora più simile al Magreb che all’Europa) modificando addirittura le abitudini alimentari e di vita della sua gente, più articolato è il giudizio sulle successive massicce politiche di industrializzazione sostenute dallo Stato (anni ’60 e ‘70), fino al giudizio unanimemente negativo sugli ultimi anni ’80 di crisi e sprechi, spesso intollerabili.

Il capitolo I mostra l’originalità del primo modello di Cassa, finanziata dall’ERP e dalla Banca Mondiale (che più volte ne lodò l’uso ottimale delle risorse), fortemente voluta dagli ambienti riformisti italiani (cattolici, laici e socialisti) ma non amata dai liberali e fortemente contrastata (con l’eccezione di Di Vittorio) dai comunisti: un’innovazione organizzativa forse troppo avanzata, osserva l’A., per la mentalità del nostro Paese. I capitoli II e III descrivono poi le grandi meritorie opere di modernizzazione degli anni’50 e ’60 mentre i capitoli IV e V raccontano lo snaturamento, avvenuto dagli anni ’70 in poi, di un Ente ridotto a solo finanziatore i progetti altrui, sovradimensionato nel personale ed ostaggio proprio di quelle élites politiche ed economiche meridionali, regionali e locali che, in origine doveva combattere per avviare lo sviluppo.

Resta, sottolinea l’autore, la strana scomparsa oggi, dall’agenda politica italiana, della questione meridionale come grande questione nazionale. Un errore, aggiunge Iacopini.

Chiudono il libro tre interessanti interviste a politici allora protagonisti, cui è chiesto un bilancio, critico ed autocritico, sull’intera stagione storica della Cassa e sulla stessa cultura del meridionalismo tra passato e presente: Gerardo Bianco per la Dc, Emanuele Macaluso per il Pci e Claudio Signorile per il Psi.

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