JOBS ACT
Riordino contratti: più potere al datore di lavoro e meno al sindacato
Respingiamo al mittente le scelte, lotteremo per cambiarle
di Eleonora Tomba
E’ entrato in vigore lo scorso 25 giugno il D.Lgs. n. 81/2015, attuativo del Jobs Act per la parte del riordino delle tipologie contrattuali (nella scheda la sintesi delle principali novità).
L’intenzione dichiarata del Governo era quella di ridurre i contratti cd. flessibili, lasciando in essere soltanto quelli realmente indispensabili e limitandone l’utilizzo fraudolento.
Vi era dunque molta attesa per questo testo che doveva riordinare le diverse opportunità per le imprese circa le modalità di assunzione, riducendo la precarietà e assicurando nuovi e maggiori spazi ai contratti a tempo indeterminato.
Anche in questo caso il film andato in onda ha un copione del tutto diverso.
In realtà, con questo decreto è stato legalizzato il potere del datore di lavoro di ricorrere al lavoro flessibile e di gestire l’organizzazione aziendale unilateralmente, piegandola solo alle proprie esigenze: demansionamento meno vincolato, lavoro supplementare e clausole elastiche a piacimento (se pur con limiti di ore e maggiorazioni).
Per tutte quelle ipotesi in cui in precedenza non era possibile negoziare prestazioni aggiuntive o più flessibili in assenza della contrattazione collettiva, questo decreto bypassa il Sindacato a favore di accordi diretti tra datore di lavoro e lavoratore.
L’eliminazione dei contratti a progetto e dell’associazione in partecipazione, con apporto esclusivo di lavoro in questo contesto, non porteranno meno precarietà. È una beffa la riduzione delle collaborazioni coordinate e continuative a ipotesi tassative considerate “genuine”, quando è comunque prevista la possibilità per datore e collaboratore di stabilire davanti alle Commissioni di certificazione che quel rapporto non maschera un lavoro subordinato.
L’estensione dei voucher, poi, a tutte le attività e l’innalzamento del tetto dei compensi, non ridurrà le forme di lavoro grigio bensì le aumenterà.
L’idea è sempre la stessa: far crescere l’occupazione riducendo diritti, tutele e salari.
Tutto sbagliato!
Non è in questo modo che si combatte la disoccupazione, ancora al 12,4%, non è così che si mette mano al problema dei rapporti di lavoro irregolari, sempre più frequenti.
Il demansionamento, inoltre, unito al contratto a tutele crescenti e alla riforma dei controlli a distanza (quest’ultima ancora all’esame delle Commissioni parlamentari), va nella direzione opposta a un modello imprenditoriale in cui i dipendenti non siano semplici esecutori, ma il loro lavoro sia riconosciuto e tutelato come parte integrante del valore aziendale.
Queste norme da una parte riducono il ruolo contrattuale del Sindacato e dall’altra garantiscono al datore di lavoro più potere di gestione del rapporto con il dipendente. Se l’alternativa per il lavoratore è perdere il posto, è chiaro come la scelta di accettare condizioni peggiorative diventi obbligata.
Per questi motivi respingiamo al mittente queste scelte, per questi motivi continueremo a lottare per cambiarle.