GIORNO PER GIORNO
E’ tempo che l’Ue cambi per non soccombere
L’Europa non gode di ottima salute economica: è in crisi da ormai otto anni e, malgrado la buona volontà di Draghi, la ripresa è modesta in alcuni Paesi, incerta in altri ed in altri ancora proprio non si vede. La disoccupazione è quasi ovunque ai massimi di sempre e l’austerità continua ad aggravare le difficoltà che avrebbe dovuto rimuovere.
La sua salute politica sembra almeno altrettanto malandata, corrosa dall’euroscetticismo dei populismi di destra e di sinistra – gli uni inquinati dalla xenofobia e persino dal razzismo, gli altri intossicati dalla demagogia e dai soffocanti fumi dell’ideologia – che, tuttavia, raccolgono grandi consensi in vari, troppi Stati membri, da ultimo in Spagna, e, in un modo o nell’altro, sono alla guida di paesi quali il Regno Unito, l’Ungheria, di recente la Polonia. E nessuno può escludere, prima o poi, anche altrove.
Del resto, non può ispirare grande fiducia e non può suscitare universali entusiasmi l’Europa che non sa affrontare assieme i problemi e le tragedie dell’immigrazione, che non riesce a sbrogliare la matassa greca e sembra aver perso il bandolo di quella ucraina, che assiste preoccupata ed impotente al dilagare di ISIS e Califfati dall’Iraq alla Siria e di lì al Nord Africa ed alle sue stesse coste.
E’ tempo che l’Unione cambi per non soccombere, per cambiare deve farsi domande difficili e trovare risposte più difficili ancora, innanzitutto sulle ragioni e sulle cause più e meno immediate dell’euroscetticismo.
Deve chiedersi se davvero abbia giovato alla coesione europea il repentino allargamento, in dieci anni scarsi, dei confini dell’UE da 16 ad altri 12 Stati, diversi tra loro e da tutti gli altri per dimensioni dell’economia e per struttura della società. Deve chiedersi quanto salda e credibile possa essere una moneta comune a 19 Paesi, ognuno con le proprie, differenti politiche economiche, fiscali, finanziarie e di bilancio.
Finora queste domande sono state esorcizzate con la retorica dell’europeismo a prescindere, dell’atto di fede nelle “magnifiche sorti e progressive” dell’integrazione purchessia, ad ogni costo e di chiunque.
La retorica aggira le domande, non fornisce risposte e finisce nel vicolo cieco della falsa contrapposizione tra chi vuole più Europa e chi ne pretende meno.
Quando, semplicemente, abbiamo tutti bisogno di un’Europa migliore.