Si può essere più o meno favorevoli, forse anche contrari, ma di certo non si può far finta di niente e restare indifferenti. La legge sulle unioni civili, approvata nei giorni scorsi al Senato, è oggi realtà e rappresenta una svolta epocale. Qualcuno potrà argomentare che si poteva fare di più, evitando di stralciare la parte relativa alle adozioni, ma la verità è che, per lo stato che è l’Italia, per certi versi ancora molto ancorato a cliché e vecchie crinoline, è stato fatto molto di più di quello che si poteva immaginare.
Questa riforma sarà (e lo è già) associata per la sua portata innovatrice a quelle che, tra il 1974 e il 1978, introdussero il divorzio e l’aborto. Anche allora le resistenze non furono poche, ma i tempi si rivelarono maturi così come oggi era maturo il tempo di “legalizzare” le coppie omosessuali, dotandole di tutti i diritti e i doveri connaturati ad un legame che tale si voglia definire. Uno dei compiti del legislatore, infatti, è anche quello di saper leggere ed interpretare i cambiamenti sociali delle varie epoche, dando senso compiuto ai vuoti normativi. Tra l’altro la legislazione italiana era in forte ritardo rispetto agli standard europei in materia e, dunque, una legge che ha introdotto nuovi diritti civili costituisce comunque un titolo di merito per un governo che è riuscito laddove altri hanno fallito.
Attenzione però, perché la legge distingue tra unioni civili e convivenze di fatto. Queste ultime non riguardano esclusivamente le persone dello stesso sesso e prevedono una serie di diritti in meno.
Per non equipararle alla famiglia, si è scelto di inquadrare le unioni tra persone dello stesso nelle formazioni sociali. Tuttavia, si tratta di una scelta solo formale perché, nei fatti, l’equiparazione di diritti e doveri è la stessa di quella familiare. Oltre a poter assumere lo stesso cognome, ai partner si applicheranno le disposizioni sulle successioni legittime, sulla tutela dei legittimari, sui patti di famiglia e sulle pensioni di reversibilità. Per la costituzione di un’unione civile ci sarà bisogno di un formale atto costitutivo, ovvero della dichiarazione in comune di fronte all’ufficiale dello stato civile. Sono previsti, poi, una serie di obblighi che vanno dall’assistenza morale e materiale alla coabitazione e alla compartecipazione ai bisogni comuni in proporzione delle proprie sostanze e capacità di lavoro. Sarà ammesso il diritto di visita in ospedale e la possibilità di delega al consenso medico, così come a livello patrimoniale viene sancita la partecipazione all’impresa familiare e la comunione legale, come regime da applicarsi in mancanza di una diversa scelta dei partner. Per lo scioglimento, basterà la dichiarazione di uno solo dei due partner e decorsi tre mesi si avvierà una procedura simile al divorzio giudiziale o consensuale. Quello che manca è soltanto l’obbligo di fedeltà reciproca, che fa discutere, ma che forse non è poi così necessario poiché la volontà di due persone di stare insieme e costruire un progetto di vita comune prescinde dal fatto che sia o meno imposta per legge la fedeltà reciproca.
Al contrario delle unioni civili le convivenze di fatto, tra persone etero o omosessuali, non configurano un nucleo unitario, in quanto la legge prevede una serie di limitazioni. Da un punto di vista patrimoniale, ad esempio, non esiste una vera disciplina legale e, a parte il diritto a partecipare all’impresa familiare, esiste la possibilità di stipulare, davanti a un notaio o ad un avvocato, un contratto di convivenza in cui disciplinare il regime patrimoniale e le modalità di contribuzione alla vita comune. In caso di cessazione del legame, poi, gli alimenti spettano solo se il convivente è in stato di bisogno.
Insomma, il dado è tratto e ora anche l’Italia è “al passo con i tempi”. Era forse anacronistico continuare a relegare in una posizione di clandestinità le vite di due persone solo perché dello stesso sesso, ma di sicuro non ci sarebbe stato neanche bisogno di tutto questo clamore e battage mediatico, perché alla fine i diritti devono essere tali per tutti. Possiamo affermare che il nostro paese oggi è un po’ più moderno di ieri, perché quando vengono introdotti dei nuovi diritti civili, che riflettono, tra l’altro, situazioni consolidate, è sempre una vittoria, più o meno grande.
La famiglia tradizionale, così spesso attaccata sotto molteplici fronti, continuerà ad esistere nonostante la regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso. E così come non esiste la famiglia del Mulino Bianco, ma esistono famiglie disastrate e famiglie che faticosamente lottano, ogni giorno, per tenere in piedi tutta la baracca, così sarà per le “nuove famiglie” che non saranno né migliori né peggiori di quelle tradizionali.
Discorso a parte sono la stepchild adoption o l’utero in affitto, temi che coinvolgono necessariamente convinzioni personali, etiche, religiose o anche solo di principio e che nulla hanno a che fare, però, con i diritti civili soggettivi. L’adozione, per adesso, resta affidata alla decisione di un giudice. E forse è questa la soluzione migliore perché più che prevederla e imporla per legge, ha senso che venga vagliata, caso per caso, l’esistenza delle condizioni oggettive di benessere psicologico per il bambino.