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Stop all’accordo di pace Russia-Ucraina. Balzo dei prezzi di grano e mais, rischio crisi alimentare

3 Novembre 2022
in INTERNAZIONALE, Lavoro
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Stop all’accordo di pace Russia-Ucraina. Balzo dei prezzi di grano e mais, rischio crisi alimentare
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Nei giorni scorsi la Russia ha sospeso l’accordo, stretto con l’Ucraina l’estate scorsa, che consentiva il passaggio del grano in arrivo da Kiev attraverso il Mar Nero, come ritorsione in seguito agli attacchi subiti dalla flotta a Sebastopoli.

La conseguenza immediata è stato il balzo dei prezzi dei cereali: dopo aver già raggiunto i massimi storici nel corso del 2022, sono aumentati nuovamente i future di grano tenero +5,6%, grano duro +4,8%, mais +2,7% e olio di palma +2,8%.

Una scelta, quella russa, che rischia di provocare un’emergenza alimentare a livello mondiale con effetti particolarmente gravi nei paesi in via di sviluppo. L’Ucraina, infatti, che è tra i principali produttori internazionali di frumento, rappresenta da sola il 10% degli scambi mondiali di grano e prima dell’invasione russa faceva partire verso l’estero circa 5-6 milioni di tonnellate al mese. In circostanze normali, il 75% della produzione cerealicola ucraina viene esportata (nel 2021 il paese ha prodotto 106 milioni di tonnellate di cereali) principalmente verso Europa, Cina e Africa mentre a Egitto, Indonesia, Turchia e Pakistan è destinata la maggior parte del grano. Tra i paesi più dipendenti ci sono il Libano, la Libia, la Tunisia e lo Yemen, paesi già di per sé economicamente e politicamente molto fragili.

E’ quindi evidente che la chiusura dei corridoi di pace, oltre al calo dell’esportazioni verso l’Unione Europea, mette a rischio la consegna di migliaia di tonnellate di grano in Africa e Medio Oriente. Per questo motivo le Nazioni Unite e la Turchia stanno cercando di evitare un nuovo blocco dell’export salvaguardando l’intesa tra Ucraina e Russia che, da quando è entrata in vigore, ad agosto, ha permesso la partenza di 363 navi e l’export di oltre 8 milioni di tonnellate di grano ucraino consegnato per il 62% in Europa, per il 19,5% in Asia, il 13% in Africa e il 5,3% nei Paesi del Medio Oriente.

La buona notizia è che nonostante la sospensione da parte della Russia dodici navi mercantili cariche di grano hanno lasciato i porti ucraini imboccando il corridoio marittimo umanitario diretto in Turchia e altre quattro si dirigeranno verso di loro secondo quanto affermato dal Centro di coordinamento congiunto (Joint Coordination Center, Jcc), responsabile della supervisione dell’accordo sulle esportazioni di grano ucraino attraverso il Mar Nero. Tuttavia si tratta di azioni isolate che da sole non possono risolvere una situazione molto spinosa soprattutto dopo che il portavoce di Putin, Dmitri Peskov, ha dichiarato che “senza la partecipazione della Russia un accordo per esportare il grano dai porti ucraini è difficilmente fattibile”.

Il rischio di crisi alimentare è confermato anche dalle organizzazioni agricole. “Con lo stop della Russia all’accordo sulle esportazioni dall’Ucraina arrivano nuove tensioni sui prezzi e rischi di una crisi alimentare globale” ha affermato Confagricoltura” mentre la Coldiretti evidenzia come “il rischio carestia riguarda in particolare quei 53 Paesi dove la popolazione spende almeno il 60% del proprio reddito per l’alimentazione. L’inevitabile indebolimento della produzione agricola ucraina e la paralisi dei porti del Mar Nero hanno sottratto un bacino cruciale per l’approvvigionamento alimentare di vaste aree del pianeta”

L’emergenza riguarda direttamente anche l’Italia visto che importiamo il 62% del grano per la produzione di pane e biscotti, il 35% del grano duro per la pasta e il 46% del mais di cui ha bisogno per l’alimentazione del bestiame. L’Ucraina con una quota di poco superiore al 13% per un totale di 785 milioni di chili è -secondo l’analisi Coldiretti su dati Istat relativi al commercio estero 2021- il secondo fornitore di mais dell’Italia che è costretta ad importare circa la metà del proprio fabbisogno per garantire l’alimentazione degli animali nelle stalle, mentre garantisce invece appena il 3% dell’import nazionale di grano (122 milioni di chili) e sono pari a ben 260 milioni di chili gli arrivi annuali di olio di girasole.

 

Tags: contrattilavoroOIL
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