L’Intervista
Stati Uniti d’Europa: subito!
di Fabrizio De Pascale
La Brexit, le sue conseguenze e l’accorato appello del direttore di repubblica Mario Calabresi rivolto ai giovani europei sono al centro dell’intervista domenicale con il segretario generale della Uila Stefano Mantegazza.
Fabrizio. Mi aspettavo una domenica di riposo dopo la manifestazione di sabato a Bari e invece no! Instancabile il Segretario Mantegazza mi chiama, guardo l’ora: le 8:30!
Stefano. Mica dormivi?
F. Quasi…
S. Ma dai! Siamo in un momento cruciale per l’Europa e tu dormi? Gli elettori britannici con il loro voto hanno innescato una catena di eventi che nel giro di poche ore ha visto le dimissioni del primo ministro inglese; ha regalato ai mercati finanziari la giornata più drammatica dal 2008; ha fatto crollare euro e sterlina; ha riaperto il dossier sull’indipendenza scozzese, speriamo non il conflitto con l’Irlanda del Nord e inflitto al progetto di unificazione europea il colpo più duro dalla fine della II Guerra Mondiale. E tu dormi?
F. Non pensavo di essere così fondamentale per i destini dell’Unione….
S. E ai nostri iscritti non ci pensi? In un momento così confuso…Dobbiamo prendere posizione, spiegare, approfondire…Dai sbrigati, ti aspetto. Ho delle pesche che mi hanno regalato ieri a Bari le preparo con il limone mentre arrivi…
F. E così, eccomi di nuovo qui con il fido quaderno degli appunti in mano. Allora parlavi di un momento storico?
S. Si, purtroppo in nome della democrazia ha vinto la demagogia. È la vittoria dell’odio antico verso l’immigrato, è l’ossessione di avere il nemico in casa. Purtroppo Brexit non è la vittoria di un’altra Europa ma del tentativo di dissolverla. Non è l’alba di una rifondazione ma il possibile crepuscolo di un progetto di civiltà. L’uscita della Gran Bretagna dall’Europa rischia di creare le conseguenze opposte a quelle verificatesi nel 1989 con la caduta del muro di Berlino.
F. E cioè?
S. Negli ultimi 25 anni il vento della globalizzazione ha spinto l’Europa a unirsi sempre di più: eliminazione delle frontiere, nascita dell’Euro, mercati sempre più condivisi…. Purtroppo chi ci ha governato non ha usato questo tempo per completare il progetto che, anche come Uila, abbiamo più volte indicato e cioè quello della costituzione degli Stati Uniti d’Europa.
F. E a poco a poco il vento favorevole si è affievolito, fino a sparire e infine a girare, sempre più forte dalla parte sbagliata…
S. Esatto! Solo noi marinai sappiamo quanto velocemente cambi il vento…
F. E dunque?
S. Le grandi promesse della globalizzazione si sono progressivamente rivelate illusorie. L’Europa, un pianeta sempre più lontano per i suoi cittadini e sempre più preda delle sue indecisioni; la moneta unica ma 28 diversi sistemi fiscali; frontiere interne eliminate ma assenza di regole condivise senza le quali non è possibile gestire la migrazione di rifugiati e migranti verso i paesi dell’Unione. E poi quello che pesa di più…
F. Cosa?
S. La progressiva riduzione del benessere della maggioranza dei cittadini europei: la disoccupazione crescente, la riduzione dei sistemi di welfare, l’incremento delle disuguaglianze…
F. Mi stai dicendo che le responsabilità di Brexit non è da imputare solo alla irrazionalità di chi la ha votata?
S. Esattamente! Spira ormai un vento contrario alla globalizzazione, così come è stata gestita dai Governi e sul nostro continente questa situazione ha prodotto un crescente euroscetticismo, che sta assumendo i tratti di una vera e propria Eurofobia.
F. Quindi tu dici che c’è voglia nel mondo di ricostruire muri sempre più alti e che esiste il rischio che venga messo in discussione l’intero patto europeo?
S. La Brexit rappresenterà purtroppo un grande sconquasso per l’Europa, ma arriva dopo tanti campanelli d’allarme: la vittoria di Trump alle primarie, l’ascesa di Mariane Le Pen e di tutti i partiti anti-europeisti, i muri dell’Ungheria e potrei proseguire…
F. E ora che si fa?
S. Chi crede nella società aperta e in un’Europa Unita deve fare molto di più per farsi capire da tutti. Mi riferisco alla politica ma anche al sindacato. Stanno crescendo coloro che pensano sia possibile trovare soluzioni a problemi globali dentro il proprio paese tirando un qualche euro o un ponte levatoio.
Chi invece continua a pensare che prosperità, pace e cultura possano svilupparsi solo attraverso soluzioni condivise deve dimostrare che queste non sono solo belle parole. Chi è convinto che l’Europa sia una ricchezza deve correre a realizzare quegli obiettivi che fino a oggi, per interessi nazionali ed egoismi anche individuali di molti leader, sono rimasti tra le buone intenzioni.
F. Per esempio?
S. Varare subito un grande progetto che metta al centro il lavoro e che tagli la disoccupazione attraverso un piano di investimenti finanziato con gli eurobond…
F. È sufficiente?
S. No. Va completata l’Unione bancaria con la garanzia unica dei depositi e vanno messi in comune i debiti pubblici nazionali e poi ci vuole un’unica voce che indichi le soluzioni utili per la sicurezza e l’immigrazione.
F. Un progetto ambizioso…
S. Da implementare e da attuare in fretta. Meno foto di vertici inutili e più fatti concreti perché il mondo e soprattutto i mercati non ci aspettano.
F. E il sindacato?
S. Dovrebbe mobilitarsi per spingere i leader politici verso gli Stati Uniti d’Europa chiedendo a gran voce maggiore giustizia sociale, più equità, più opportunità, più diritti. Altro che voucher e lavoro nero…
F. Sei ancora con la testa a Bari?
S. Assolutamente! Sono a Bruxelles, dove i nostri capi di stato dovrebbero rendersi conto che se non si fanno carico del disagio sociale, del malessere che c’è in tanti cittadini del nostro continente, l’Europa rischia di brutto.
F. Una ultima domanda sui giovani inglesi che in massa hanno votato perché la Gran Bretagna rimanesse in Europa.
S. Hai letto l’articolo di Mario Calabresi sulla Repubblica di sabato 25 giugno?
F. Si, bellissimo!
S. Bisognerebbe tradurlo in tutte le lingue dell’unione e diffonderlo ovunque. Brexit è il triste esempio di una decisione presa dai nonni e da molti padri ma destinata a pesare sulle spalle dei giovani che invece vorrebbero vivere in un continente senza frontiere, nel quale sia facile costruire soluzioni positive. Ecco anche per loro il sindacato dovrebbe impegnarsi di più, per non lasciare le nuove generazioni escluse dal futuro che vorrebbero costruirsi.
F. La conclusione!
S. Prendo a prestito alcuni passi dell’articolo di Calabresi che mi hanno commosso perché sembrava conoscere da sempre i miei figli. Scrive Calabresi: “Cari ragazzi europei, siete nati in un continente di pace, siete cresciuti senza frontiere, progettando di studiare in un altro Paese, innamorandovi durante l’Erasmus, condividendo con gli amici le occasioni per trovare lavoro, i sogni o più semplicemente i voli meno costosi per vedere un concerto”.
“Oggi le paure di molti dei vostri genitori e dei vostri nonni hanno deciso che la Gran Bretagna tornasse a essere un’isola, che voi diventaste stranieri dall’altra parte della Manica. I vostri genitori si stanno lasciando incantare da chi racconta che rimettere muri, frontiere, filo spinato servirà a farci vivere più tranquilli, sicuri e sereni. Che tornare ad avere ognuno la propria moneta riporterà lavoro, prosperità e futuro. Ci stanno raccontando che smontare vale di più di costruire. Il continente è malato ma la febbre di oggi è la semplificazione, l’idea che sia sufficiente distruggere la casa che ci sta stretta per vivere tutti comodamente. Peccato che poi restino solo macerie”.
F. Ha commosso anche me che ho tre figli ancora piccoli…
S. Anche a loro va l’appello conclusivo di Calabresi: “Aprite gli occhi, guardate lontano e pretendete un’eredità migliore dei debiti. Vogliamo avere pace, speranza e libertà, non rabbia, urla e paure. Segnatevi sul calendario la data di ieri, venerdì 24 giugno 2016, e cominciate a camminare in un’altra direzione, a seminare i colori e le speranze. Una ragazza inglese che ha votato si, ma non è riuscita a convincere suo padre e suo zio a fare lo stesso, ieri ha promesso ai suoi amici europei, con voce tremante che mescolava imbarazzo e rabbia: “Verrà il turno della nostra generazione e allora torneremo. Ci contiamo”.