GIORNO PER GIORNO
Salario minimo per legge, una pessima idea
Il Governo ha infilato nel Jobs Act la delega ad introdurre anche in Italia il salario orario minimo di legge.
A prima vista potrebbe sembrare una buona idea, nei giorni scorsi abbiamo esposto le molte ragioni giuridiche, politiche, economiche e, non da ultimo sindacali per cui non lo è affatto.
Qualche semplice numero dimostra che l’idea è pessima anche dal punto di vista dell’aritmetica.
Nel 2014, infatti, il costo medio orario del lavoro italiano è stato di 28,3 euro, non lontano dalla media europea di 29,2 euro, ma egualmente lontanissimo dai 3,8 euro dei lavoratori bulgari e dai 40,3 dei loro colleghi danesi.
Però, anche in Italia le disparità non mancano, perché, se l’anno scorso le imprese industriali per un’ora di lavoro hanno mediamente pagato 28 euro tondi, quella medesima ora ne è costata 24,7 nell’edilizia, 27,2 nel settore dei servizi e ben 32,3 nei settori prevalentemente pubblici dell’istruzione e della sanità.
Questi valori, ovviamente, fanno media, sul piano nazionale ed in ogni settore, tra costi orari del lavoro in realtà anche considerevolmente inferiori e superiori alla media stessa.
Perciò, atteso che l’aumento generalizzato delle retribuzioni orarie più basse non è previsto dalla delega concessa dal Parlamento, il Governo non potrà che fissare l’asticella del salario minimo ancora al di sotto del più modesto ammontare di quelle stesse retribuzioni orarie.
Di conseguenza, non si vede a cosa possa mai servire un salario orario minimo di legge allo stesso tempo troppo vicino alle retribuzioni di minore importo e troppo lontano da quelle, soprattutto settoriali, di maggiore importo.
Così aggiungendo al danno dell’indebita interferenza nella contrattazione collettiva del salario, la beffa di un salario per legge tanto minimo, quanto assolutamente inutile.