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Renzi mantenga le promesse alle quali abbiamo creduto

15 Aprile 2016
in L'EDITORIALE
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L’EDITORIALE
Renzi mantenga le promesse alle quali abbiamo creduto
di Stefano Mantegazza

Il Consiglio dei Ministri ha varato un DEF che vorrebbe mettere finalmente d’accordo la crescita (sia pure solo dell’1,2% per quest’anno e dell’1,4% nel 2017, contro, rispettivamente, l’1,6% e l’1,8% stimati a settembre scorso) con la riduzione del debito (dal 132,7% del 2015 al 132,4% nel 2016 e al 130,9% del 2017) e col contenimento del disavanzo corrente, il cui pareggio strutturale è comunque rinviato al 2019, grazie alle “flessibilità” chieste all’Eurogruppo. Si prevede un avanzo primario stabilmente attorno all’1,7-2% e la vendita di altre quote di Poste Italiane per circa lo 0,5% del PIL.

Il difficile contesto internazionale
Questo DEF, però, non sembra nato sotto una buona stella. In primo luogo perché c’è poco da contare sull’aiuto della ripresa dell’economia mondiale, vicinissima alla stagnazione, inondata da debiti pubblici e privati aumentati negli ultimi 5 anni dell’astronomica cifra di 75.000 miliardi di dollari. Poi perché nemmeno si contare molto sulle generose politiche monetarie e sui dubbi vantaggi dei tassi di interesse “sotto zero”.

La BCE, pur riversando ogni mese 80 miliardi di liquidità sulla finanza europea, a stento riesce a evitare il naufragio dell’euro, senza tuttavia riuscire a smuovere l’encefalogramma quasi piatto dell’inflazione continentale. La FED è sempre più prigioniera delle migliaia di miliardi di dollari che non può né togliere, né assicurare all’infinito all’economia americana. Le Banche Centrali cinese e giapponese fanno del loro meglio, ma con esiti quasi irrilevanti e a volte controproducenti.

Infine e non da ultimo perché le guerre in corso e in preparazione, l’avanzare del terrorismo, la fuga dalla disperazione di milioni di migranti, allungano sul pianeta le ombre dell’instabilità, nemica mortale di ogni possibile sviluppo.

Le fosche previsioni del Fondo Monetario Internazionale
Qualche giorno fa il FMI ha dato pessime notizie al mondo, la cui crescita si fermerà al 2,4% quest’anno e al 2,5% l’anno venturo, poi all’Europa che, se va bene, non dovrebbe crescere oltre l’1,5% nel 2016 e l’1,6% nel 2017, e infine all’Italia, il cui PIL sembra arrancare pericolosamente a ridosso dello “zero virgola”, attorno all’1% quest’anno e all’1,1 l’anno prossimo. Secondo gli economisti del Fondo nel 2016 il debito italiano, prossimo ai 2.200 miliardi €, anziché diminuire, crescerà al 130% del PIL, per tornare nel 2017 al medesimo 132,7% del 2015.

Keynes diceva che le previsioni sono affidabili, tranne quelle che riguardano il futuro, e aveva ragione a dirlo. I numeri, però, sono numeri, non vanno presi alla lettera, ma bisogna prenderli sul serio.

L’incongruenza tra i numeri del DEF e le previsioni del FMI
I numeri del DEF raccontano un’Italia ormai fuori dalla crisi, parlano di politiche e riforme che metteranno in ordine i conti pubblici, ridurranno le tasse e, nelle parole del nostro “Premier”, addirittura guideranno le “magnifiche sorti e progressive” dell’Europa.

I numeri del FMI descrivono una politica italiana ben diversa, che spinge la pressione fiscale ai vertici delle classifiche europee e mondiali e, ciò malgrado, spende quel che non potrebbe permettersi e accende perciò debiti che non è certo se sarà in grado di onorare.

Fatte le debite proporzioni, è inevitabile che i numeri del DEF debbano accordarsi con quelli del FMI, se non altro per superare senza eccessivi danni l’esame europeo del mese prossimo e ottenere le flessibilità necessarie a quadrare conti pubblici sui quali pesano tante incognite e, a partire dal 1 gennaio 2017, “clausole di salvaguardia” per 15 miliardi buoni.

Il governo è a un bivio
Il Governo, alla fine, sarà costretto a scegliere tra ridurre le spese, aumentare le tasse o dare “un colpo al cerchio e uno alla botte”. Tutto complicato, perché il fondo del barile fiscale di chi le tasse le paga davvero è ormai raschiato all’osso e la spesa pubblica si è dimostrata refrattaria a qualsiasi “spending review”. In tante complicazioni una cosa è certa, per quanto Draghi continui a spandere liquidità: il Governo non può permettersi di indebitare ancora gli italiani, già indebitati per almeno un paio di generazioni a venire, la Commissione UE e i mercati difficilmente glielo consentirebbero. Temo, però, che la politica, un tempo “arte del possibile”, in Italia finisca per diventare “artificio dell’improbabile”.

Tra la tentazione di continuare “a far cassa”, indebitando il paese
Infatti, a giudicare da indiscrezioni e “retroscena” proposti con sospetta insistenza sui giornali, il Governo sembra intenzionato a mettere i numeri del DEF d’accordo con sé stessi non per la via maestra dello spendere meno, per non doversi indebitare sempre di più, ma per vicoli ben più traversi; tra una smentita e l’altra non pare aver rinunciato alla tentazione di “far cassa” sulla previdenza, stavolta a spese delle pensioni di reversibilità, così come preoccupa la cupidigia con la quale dal Ministero dell’Economia si guarda ai 300 miliardi abbondanti delle “tax expenditures” (in italiano corrente agevolazioni e detrazioni fiscali), la cui manomissione ben si presta a camuffare l’incapacità di disinnescare davvero gli aumenti automatici di IVA e accise imposti dalle salvaguardie europee.

Gli “artifizi e raggiri” contabili, però, camuffano la forma, ma non cambiano la sostanza di una manovra che, riducendo agevolazioni e detrazioni, di fatto aumenterebbe ancora un po’ la pressione fiscale, mettendo una pietra tombale su consumi, investimenti, produzione e riportando l’Italia alla casella di partenza della crisi: troppe tasse, spese e debito, meno occupazione, niente crescita.

So bene, tutti sappiamo bene, che da una situazione difficile non si esce in modo semplice, mi rendo conto però che non si può continuare con entrate che inseguono da sempre più lontano le uscite e ad ancora maggior distanza il debito.

O provare seriamente a tappare i buchi della nave Italia
Non so quanto a lungo il denaro sparso da Draghi “a costo meno che zero” terrà a galla la barca italiana con troppi buchi nella chiglia, ma sono certo che, per navigare, bisogna turare i buchi e non aprirne altri. I buchi della “nave Italia” hanno nome e cognome, si possono e si devono turare nel solo modo utile: tagliando sul serio la spese pubblica. Non accanendosi sulle vedove, né stendendo cortine fumogene su nuovi aumenti delle tasse, ma imponendo alla politica i sacrifici che ha finora imposto agli italiani.

E da tagliare in politica c’è moltissimo, nelle clientele che prosperano a ridosso degli “assalti alla diligenza” di ogni legge di stabilità, compresa l’ultima; nelle voragini aperte e continuamente allargate dalla disinvoltura della finanza locale; negli sprechi che moltiplicano su e giù per la penisola il costo della stessa siringa e della medesima risma di carta; nei rimborsi elettorali che aumentano al diminuire degli elettori e in tanto, troppo altro del genere.

Renzi mantenga le promesse alle quali abbiamo creduto
Renzi due anni or sono ci ha promesso molto, gli abbiamo creduto e, anche se ha mantenuto poco, vorremmo potergli credere ancora, vorremmo poter credere che sappia e voglia far altro e di meglio dal provare ad “asfaltare” chiunque non sia d’accordo con lui, a cominciare dal sindacato. Saranno pure tempi di elezioni e referendum, ma non c’è più tempo per rimpiazzare con sempre nuove promesse quelle passate in cavalleria, quel che si deve fare va fatto adesso. Il Governo lo faccia, altrimenti bisognerà pur cercare qualcuno che voglia e sappia farlo.

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