Produttività
Sì alla detassazione, ma il Governo non leghi le mani alle parti
di Eleonora Tomba
Dopo il mancato rifinanziamento del 2015, è atteso a giorni il decreto del Ministero del Lavoro, di concerto con quello dell’Economia, che renderà operativa la detassazione dei premi di produzione per l’anno in corso.
La Legge di Stabilità 2016 (n. 208/2015) ha, infatti, reintrodotto la detassazione al 10% per i premi di risultato connessi a “incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza e innovazione” e per “le somme erogate sotto forma di partecipazione agli utili dell’impresa”. Il limite dell’importo detassabile è di 2.000 euro lordi (contro i 3.000 del 2014), elevato a 2.500 euro per le aziende che coinvolgono pariteticamente i lavoratori nell’organizzazione del lavoro e spetta a coloro che abbiano un reddito da lavoro dipendente non superiore a 50.000 euro l’anno. L’elevazione del limite di reddito (40.000 euro nel 2014) consentirà a molti lavoratori di poter beneficiare dell’agevolazione. Ai fini della determinazione del premio di produttività, la legge ha chiarito, inoltre, che è computato il periodo obbligatorio di congedo di maternità.
La Legge di Stabilità ha introdotto un’ulteriore novità rispetto alle agevolazioni passate: a scelta del lavoratore, è possibile sostituire i premi di produzione con i “fringe benefits” (beni in natura) previsti dall’art. 51 TUIR (servizi erogati dall’azienda per finalità di istruzione, ricreazione, culto ecc.; servizi di trasporto collettivo; contributi per asilo nido o borse di studio per i figli dei dipendenti; contributi di assistenza sanitaria, contributi ai fondi complementari) fino al limite di 2.000 o 2.500 euro. È possibile, inoltre, sostituire i premi con altri beni (ad es. buoni pasto), il cui valore non superi 258 euro (e fermo il limite totale di valore di 2.000-2.500 euro).
Prima della Legge di Stabilità, questi beni in natura non erano tassati soltanto se attribuiti unilateralmente dal datore di lavoro; ora potranno, a scelta del dipendente, sostituire il premio di risultato purché lo preveda la contrattazione collettiva: in questo caso, il valore di questi beni non sarà detassato al 10% ma sarà del tutto esente da Irpef.
Lo scambio tra premi di produzione e compensi in natura sarà possibile, però, solo qualora i premi siano connessi a “incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza e innovazione”. Il decreto interministeriale tanto atteso dovrà stabilire i criteri per misurare e verificare la rispondenza dei premi agli indicatori suddetti.
Come Uila, giudichiamo certamente positiva la reintroduzione della tassazione agevolata per i premi di produzione, anzi, potremmo dire doverosa, per un paese che ha un disperato bisogno di ridurre le tasse sui lavoratori e incentivare i consumi.
Detto questo, non possiamo trascurare come, ancora una volta, lo Stato sia andato oltre quello che era necessario fare, arrivando a imprigionare la contrattazione collettiva nelle maglie di un meccanismo che non porterà i vantaggi sperati. Gli accordi di secondo livello, nascono proprio per consentire a imprese e lavoratori di adeguare al meglio la normativa e gli strumenti di welfare alle esigenze delle singole realtà, diversissime tra loro. Prevedere l’esenzione da Irpef prestabilendo i benefit che possono esserne oggetto (il riferimento all’art. 51 TUIR è tassativo) e soprattutto, stabilire con decreto ministeriale i criteri di misurazione degli “incrementi di produttività” significa legare le mani all’autonomia delle parti, snaturando il ruolo dei contratti aziendali in favore di una omogeneizzazione su tutto il territorio nazionale che non funziona.
Questa miopia del Governo non consentirà al nostro paese di progredire come dovrebbe, e augurandoci che non si tratti dell’ennesimo tentativo di indebolire il ruolo del sindacato, chiediamo che il decreto sia corretto ancor prima di essere pubblicato, lasciando alle parti il ruolo che gli è proprio.