Un incontro “a porte chiuse” con tutti i protagonisti della filiera del pomodoro, italiani ed europei per discutere il problema della manodopera irregolare nella raccolta di pomodori in alcune regioni italiane, individuare possibili future iniziative e incoraggiare la collaborazione tra tutti i soggetti interessati. Con l’obiettivo di un cambiamento duraturo e sostenibile della situazione in grado di garantire ai consumatori del nord Europa una “eticità” piena e trasparente della filiera e la certezza che dietro le produzioni provenienti dal nostro paese non ci sia lavoro irregolare e sfruttamento della persone.
Ad organizzare questo incontro, che si è svolto a Salerno l’8 giugno, l’iniziativa per il commercio etico inglese (Eti), una Onlus che raggruppa aziende della distribuzione, importatori, sindacati e altre organizzazioni non governative e che ha come scopo la promozione del rispetto dei diritti del lavoro nel mondo.
E i protagonisti della filiera c’erano veramente tutti: associazioni di produttori agricoli (Aoa), dell’industria di trasformazione (Anicav) e della distribuzione (Coop) italiane, singole aziende di trasformazione (La Doria, Princes), rappresentanti delle associazioni di importatori e della grande distribuzione di Norvegia, Inghilterra e Danimarca. Presenti anche le istituzioni: in particolare, il direttore generale per l’immigrazione del ministero italiano del lavoro, Tatiana Esposito e il direttore della sede italiana dell’agenzia delle Nazioni Unite per l’immigrazione Federico Soda. C’erano poi istituti di ricerca e associazioni del volontariato italiani e stranieri (tra cui la Caritas italiana e l’Eih-iniziativa per il commercio etico norvegese con la quale la Uila ha collaborato sin dal 2012). Infine c’erano i sindacati, in particolare il segretario generale della Uila Stefano Mantegazza e, per la Flai-Cgil Roberto Iovino. Ha coordinato i lavori Alessa Rigal dell’Eti.
Di particolare rilievo l’intervento di Stefano Grieco (La Doria) che ha illustrato in dettaglio il codice di comportamento e le misure intraprese dall’azienda per assicurare la tracciabilità etica delle proprie produzioni; stessa cosa ha fatto la rappresentante di Coop Italia che ha parlato della campagna di sensibilizzazione “buoni e giusti” intrapresa dal gruppo e rivolta sia ai consumatori che, soprattutto, ai produttori agricoli suoi fornitori ai quali si chiede di aderire alla Rete del lavoro agricolo di qualità, prevista dalla Legge 199 sul Caporalato, approvata a ottobre 2016.
Nei molti interventi che si sono succeduti, da più parti è venuta la considerazione che il lavoro nero e irregolare in agricoltura non è una peculiarità italiana ma un problema che riguarda anche altri paesi europei. Ma, soprattutto, ha precisato il segretario generale Uila, è un fenomeno che, in Italia, riguarda solo una minoranza dei produttori perché la stragrande maggioranza delle aziende agricole italiane sono sane, applicano regolarmente i contratti, rispettano le leggi sociali, dialogano e collaborano con il sindacato. Una sottolineatura importante che deve servire, secondo Mantegazza, a ricondurre tutta la discussione e le azioni future in un ambito di maggiore realtà e concretezza. Altro aspetto da ricondurre in questo ambito è quello della composizione straniera della manodopera agricola. Dagli studi condotti dalla Uila, infatti, è emerso con precisione che oltre il 65% dei braccianti sono italiani, in particolare al sud, con percentuali che oscillano tra il 74% in Campania e l’88,3% in Sardegna.
Al centro della discussione anche la legge 199, in tutti i suoi aspetti. Nel suo intervento, Mantegazza ha sottolineato il ruolo determinante del sindacato italiano nella definizione di questa legge, ringraziando le iniziative etiche dei tre paesi del nord Europa per l’azione di pressione da loro svolta nei confronti del governo italiano. Mantegazza ha poi indicato le priorità che andrebbero perseguite in futuro per restituire legalità e trasparenza al mercato del lavoro in agricoltura. Innanzitutto promuovere una maggiore consapevolezza tra i consumatori nell’esigere un lavoro etico dietro i prodotti che acquistano; occorre poi convincere le aziende agricole ad iscriversi alla Rete del lavoro agricolo per consentire la crescita di questo strumento per farlo diventare una valida e concreta alternativa al mercato del lavoro gestito dai caporali; infine adoperarsi per far decollare le Reti del lavoro a livello territoriale, nelle province e nei comuni, coinvolgendo le istituzioni e legando la gestione del mercato del lavoro al tema del trasporto dei lavoratori sui campi di lavoro.
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