Incontro Stefano Mantegazza a un gazebo per la raccolta firme della Uila, intento a discutere con una signora per convincerla a firmare le due proposte di legge di iniziativa popolare. Ci riesce e la donna firma. Gli dico: “bravo segretario! Ma ora dobbiamo fare la nostra intervista”.
Domanda. Allora sulle pensioni tornano a rullare i tamburi di guerra e il sindacato torna a dividersi?
Risposta. Calma, calma! C’è già tanta confusione, non aggiungerne altra, anche tu…
D. Sto ai fatti…
R. Ti sbagli. Sono opinioni. Non c’è nessuna guerra in atto e non è neppure corretto dire che il sindacato torna a dividersi. È bene invece partire dai fatti.
D. E va bene… cominciamo…
R. La trattativa sulle pensioni si è chiusa con l’impegno del governo a inserire nella legge di stabilità un emendamento che, a partire dal 2019, esclude altre categorie di lavoratori, addetti a mansioni “gravose”, dai nuovi requisiti per andare in pensione di vecchiaia e anticipata. A quelli previsti dalla precedente normativa, sono stati aggiunti operai agricoli, pescatori, marittimi e siderurgici, nuove categorie che dal 2018 potrebbero beneficiare anche delle prestazioni dell’APE sociale.
D. Perché “potrebbero”?
R. Perché il governo aspetta di sapere quante risorse non saranno spese nel 2017, per aggiungere queste quattro categorie alle undici già protette e aiutare le donne con uno sconto contributivo di un anno per figlio, anziché 6 mesi, entro un massimo di due anni. Lo farà probabilmente con un emendamento quando la manovra transiterà alla Camera.
D. E l’emendamento del governo quante persone riguarderà?
R. Fare una stima è molto difficile, si parla di circa 14.600 lavoratori che nel 2019 andranno in pensione a requisiti invariati. Si aggiungono a chi nel 2019 andrà in pensione ben prima dei 67 anni con il cumulo gratuito, i precoci, chi beneficerà dell’Ape sociale e gli usuranti.
È la platea prevista dalle nuove flessibilità introdotte con la legge di Bilancio dell’anno scorso grazie a Cgil, Cisl e Uil e agli accordi precedenti fatti con questo governo e che si sommano a quelle di quest’anno. Stiamo parlando di altri 40 mila lavoratori dipendenti a fronte di un numero di nuove pensioni di vecchiaia e anzianità che, in quell’anno, oscillerà tra le 150 e le 170 mila unità se si considerano i soli lavoratori dipendenti; saranno circa 70 mila le sole pensioni di vecchiaia.
D. Alla fine non sono pochi.
R. Ma non sono neanche tutti quelli che ne avrebbero diritto. La legge Fornero è stata una disgrazia per la parte più debole del paese, ha garantito al sistema pensionistico la stabilità finanziaria, non l’equità generazionale. È facile capire che l’adeguamento alle aspettative di vita che porta l’età pensionabile a 67 anni è un eccesso rispetto a quanto accade nel resto d’Europa. È vero che aumenta la durata di vita ma bisogna guardare anche quanti anni di buona salute si vivono; da quaesto punto di vista le deroghe previste per i lavoratori “usurati” sono insufficienti. Senza considerare poi che chi svolge lavori usuranti ha una speranza di vita inferiore.
Inoltre è mancato in questa legislatura, e non certo per colpa del Sindacato, un accordo per garantire una pensione ai giovani che, diventando vecchi, dopo tanti anni di lavori precari, non avranno un assegno minimo adeguato.
D. Allora ha ragione la CGIL a portare i lavoratori in piazza e a dichiarare scioperi a valanga?
R. No. Gli scioperi costano alle persone che li fanno e non vanno sprecati. Il sindacato ha il dovere di stare con i piedi per terra. La legge “Fornero” va cambiata, partendo dalle condizioni di maggiore iniquità, come stiamo facendo. L’idea che si possa eliminare in blocco una legge che vale 80 miliardi di risparmi è pure demagogia. E poi va evidenziato un altro aspetto…
D. Quale?
R. La legislatura è finita. Il Governo è al capolinea: non ha più una maggioranza in Parlamento e non ha più un euro in cassa. Anche volendo, non ci sono i margini per inserire il rinvio di “quota 67” per tutti in questa Legge di Stabilità e neanche per prevedere un paracadute immediato per i giovani. Quindi lo sciopero in questo momento non serve. Peraltro quando si sciopera per una rivendicazione giusta nel momento sbagliato, nei lavoratori rimane solo la rabbia per la sconfitta patita.
D. Allora ha ragione la CISL che avrebbe messo addirittura la firma sotto questa intesa.
R. No. Penso che sarebbe stata una scelta troppo frettolosa.
D. Perché?
R. Perché l’iter della legge di Bilancio è appena iniziato, lo stesso Governo presenterà su questi temi più emendamenti ed è opportuno controllare l’andamento del dibattito parlamentare. Siamo a fine legislatura, tutto può ancora accadere e il sindacato non deve smobilitare ma al contrario vigilare.
D. Quindi?
R. Giusta la posizione della UIL. Il 30 novembre, a Roma, spiegheremo a duemila quadri e delegati il percorso fin qui seguito e le proposte per la nuova legislatura e poi, mi auguro, stabiliremo una presenza costante di quadri e delegati davanti al Parlamento per tutto l’iter della legge, anche perché vi sono altre questioni che ci interessano, che abbiamo posto e che non intendiamo lasciare al solo dibattito parlamentare.
D. A che ti riferisci?
R. Penso a tutto il tema dei contratti a termine e dei licenziamenti illegittimi. In Parlamento si profila la possibilità di tagliare la durata massima dei contratti a termine: farla scendere dai 36 mesi previsti adesso a 24. È in corso un confronto sul super-ticket per le visite specialistiche che potrebbe essere limato, aumentando le fasce di esenzione.
C’è anche l’ipotesi di far salire, in caso di licenziamento illegittimo, l’indennizzo minimo che nel Jobs act ha preso il posto del reintegro nel posto di lavoro del vecchio articolo 18. Il Governo cogliendo le nostre richieste, ha già previsto il raddoppio della cosiddetta tassa sui licenziamenti collettivi, quelli delle imprese con oltre 50 dipendenti. L’aumento dell’indennizzo toccherebbe invece i licenziamenti individuali e le piccole imprese. Tutti aspetti importanti sui cui dobbiamo vigilare e dire la nostra.
D. Quindi niente scioperi ma una pressione costante sul Parlamento fino alla approvazione della legge di stabilità?
R. Si. Io penso che questa sia la scelta migliore, alla quale richiamare anche Cgil e Cisl. Una scelta obbligata comunque per il settore agricolo e per la pesca; infatti noi vogliamo che i lavoratori di questi settori possano beneficiare già dal 2018 dei trattamenti previsti dall’Ape sociale, senza “se” e senza “ma”. Dobbiamo conquistarci questa certezza e quindi dopo il primo passaggio della legge al Senato saremo in piazza davanti alla Camera dei Deputati.