LICENZIAMENTI
Licenziamento disciplinare: reintegrazione se manca la prova anche dell’elemento “non materiale”
L’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, come modificato dalla Legge Fornero (che si applica agli assunti prima del 7 marzo 2015), prevede che nel caso di licenziamento disciplinare di cui venga dimostrata l’insussistenza del “fatto materiale”, il lavoratore ha diritto ad essere reintegrato nel posto di lavoro.
La giurisprudenza ha dato nel tempo interpretazioni diverse su cosa dovesse intendersi per fatto materiale, fino alle sentenze della Corte di Cassazione n. 20540 e 20545 del 2015, con le quali si è chiarito che dà diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro non soltanto quando il datore non prova che il fatto contestato sia realmente avvenuto (ad es. un furto), ma anche nel caso in cui il fatto sia accaduto ma manchi l’illiceità, anche con riferimento all’elemento psicologico (ad es. l’oggetto è stato preso per sbaglio, perciò non c’era la volontà del lavoratore di rubarlo). In uno dei due casi di specie, la società aveva contestato al dipendente comportamenti che avrebbero provocato un danno morale all’azienda, danno che però non è stato dimostrato. Per questo motivo la Corte ha stabilito che il licenziamento era illegittimo, condannando il datore alla reintegrazione.