La Corte di Cassazione si è espressa più volte sul diritto o meno dei lavoratori a veder retribuito il tempo di vestizione e svestizione. Da ultimo con la sentenza n. 15763 del 7 giugno 2021 la Corte ribalta l’orientamento che consentiva ai dipendenti di vedere retribuito il tempo impiegato per indossare e togliere gli abiti da lavoro.
Nel caso di specie, i dipendenti di un’azienda avevano fatto ricorso in Tribunale per chiedere il riconoscimento della retribuzione del tempo impiegato a indossare e togliere gli abiti da lavoro e gli altri dispositivi di protezione individuale e il giudice di primo grado aveva dato loro ragione. In seguito, l’azienda era ricorsa in appello e la Corte di Roma aveva riformato la sentenza di primo grado.
Quest’ultimo orientamento è stato, poi, confermato dalla Corte di Cassazione che, con la sentenza citata, ha dichiarato l’infondatezza della pretesa economica avanzata dai lavoratori sottolineando che, nel rapporto di lavoro subordinato, il tempo necessario a indossare l’abbigliamento di servizio costituisce tempo di lavoro soltanto ove qualificato da eterodirezione, cioè quando l’azienda obblighi i dipendenti a vestirsi e svestirsi in modo specifico, durante l’orario di lavoro e all’interno dei locali aziendali. In mancanza di questo, l’attività di vestizione rientra nella diligenza preparatoria inclusa nell’obbligazione principale del lavoratore e non dà titolo ad autonomo corrispettivo.
Dalle verifiche fatte nel giudizio di Appello, infatti, è emerso che i ricorrenti non avevano alcun obbligo di indossare gli abiti da lavoro negli appositi spogliatoi ubicati all’interno dei locali aziendali, ben potendo gli stessi recarsi al lavoro e far ritorno a casa indossandoli. Inoltre, la società offriva altresì servizi quali spogliatoio, doccia e lavanderia, in merito all’utilizzo dei quali ai lavoratori stessi era lasciata totale libertà di scelta.