GIORNO PER GIORNO
La vera “rivoluzione copernicana”: ridurre tasse, spesa pubblica e perimetro dello stato
È dubbio che, in tempi di globalizzazione, il “tassa e spendi” sia davvero il modo migliore per rianimare la crescita, ma è certo che lo “spendi e tassa” la deprime. Non a caso arrivano cattive notizie all’Italia che, inutilmente, rincorre con continui aumenti della pressione fiscale, già ai massimi di sempre, un debito quasi raddoppiato negli ultimi 15 anni, da 1.300 a 2.200 miliardi di euro.
Innanzitutto dall’OCSE, secondo cui il PIL italiano continuerà, ancora per anni, a ristagnare attorno alla metà della media europea; e poi dalla SVIMEZ, dalle cui analisi emerge un Mezzogiorno italiano che, al settimo anno consecutivo di recessione, è in condizioni economiche e sociali due volte peggiori di quelle della Grecia sull’orlo del default. Ancora, dal FMI che stima in 20 anni il tempo necessario all’Italia per recuperare i posti di lavoro persi dall’inizio della crisi e dall’ISTAT che, tra maggio e giugno, ha contato 55.000 disoccupati in più e 22.000 occupati in meno, tanto da spingere il tasso di disoccupazione a nuovi record (12,7% in generale, 44,2% tra i giovani). Infine, almeno sin qui, dalla Corte dei Conti, le cui carte dimostrano che dal 2011 al 2014 i trasferimenti agli Enti Locali si sono ridotti di circa 13 miliardi di euro e che, nello stesso tempo, il prelievo locale (tra ICI/IMU/TASI, addizionali IRPEF e tassa sui rifiuti) è cresciuto di altrettanto, passando da 12,7 a 25,6 miliardi.
Ciò vuol dire che, mentre gli italiani tiravano la cinghia della recessione, Sindaci e Presidenti di Regione hanno recuperato dalle tasche dei cittadini esattamente quanto la “spending review” di turno ha finto di toglier loro. Senza migliorare, anzi spesso peggiorando, i servizi resi, dalla sanità al trasporto pubblico a tutto il resto o quasi, mentre le cronache raccontano come e quanto malcostume e corruzione siano un “pezzo” non irrilevante dei costi della politica locale.
A scanso di altre cattive notizie e per dare senso concreto al turbinio delle Riforme annunciate, forse è arrivato il momento di chiederci se l’Italia abbia davvero bisogno di 20 Regioni, 5 delle quali a Statuto Speciale, quando alla Repubblica Federale Tedesca bastano 16 “lander” e se il nostro paese possa veramente permettersi di avere più province (110 contro 95 dipartimenti) della Francia (grande il doppio dell’Italia ma con uguale numero di abitanti) e oltre 8.000 comuni.