LA PROPOSTA UIL
Contratti: è ora di cambiare
Serve una rivoluzione “copernicana”
di Tiziana Bocchi
La proposta di riforma della contrattazione collettiva che il Comitato Esecutivo della UIL ha approvato qualche giorno fa ed evidenziato a CGIL e CISL merita qualche ulteriore approfondimento che di seguito offriamo ai tanti, tantissimi che ci hanno chiesto delucidazioni in merito. E anche ai tanti, tantissimi che ancora pensano di formulare per i prossimi rinnovi contrattuali, richieste salariali legate ai tassi di inflazione.
Una breve ma importante storia
Già all’inizio degli anni ’90, venuta definitivamente meno la scala mobile, era chiaro che il sistema italiano della contrattazione collettiva aveva bisogno non di qualche ritocco, ma di una riforma vera e approfondita. L’urgente, però come spesso accade, ha fatto premio sull’importante. A luglio del 1993, sotto l’incalzare dell’aumento del costo della vita, ci si preoccupò, più che di riformare la struttura contrattuale, di impedire la trasmissione della dinamica del salario a quella dei prezzi, condizionando gli aumenti salariali, da pattuire ogni due anni, ad un tasso dell’inflazione più o meno arbitrariamente programmato. Scelta che avrebbe dovuto stabilizzare il potere d’acquisto dei lavoratori ed agevolare le trattative contrattuali, ma che, alla prova dei fatti, si è rivelata insufficiente a salvaguardare il valore reale delle retribuzioni ed una complicazione, più che un lubrificante del puntuale e scorrevole rinnovo dei contratti nazionali di categoria. Infatti, dopo qualche anno, le parti confederali sono tornate sull’argomento e, passando per lunghe discussioni e persino per “l’accordo separato” di gennaio 2009, a giugno 2011 hanno convenuto, assieme agli improbabili modi e agli inediti criteri per la misurazione della rappresentanza sindacale tuttora in via di attuazione, un nuovo indicatore al quale commisurare gli aumenti contrattuali delle retribuzioni: l’IPCA. Un indicatore periodicamente rilevato dall’ISTAT, più obiettivo e meno esposto alle controverse interpretazioni ed alle ricorrenti manipolazioni che avevano nel frattempo tribolato la commisurazione degli aumenti salariali agli incerti meccanismi dell’inflazione programmata. Tuttavia, l’IPCA, irrobustita dalla “depurazione dell’inflazione importata” e dalla conseguente solo parziale salvaguardia del salario reale, era ed è pur sempre un marchingegno volto a prevenire le pressioni inflattive più o meno ragionevolmente imputabili agli aumenti contrattuali.
Dalla storia alla cronaca
Passando dalla storia alla cronaca, quando la recessione da troppi anni soffoca l’economia e devasta l’occupazione, mentre la deflazione bussa alle porte e promette depressione dei consumi, dei redditi, degli investimenti e sempre più disoccupati, l’IPCA che previene l’inflazione non è soltanto inutile, diventa per troppo ovvie ragioni un danno. La UIL lo ha capito per tempo, addirittura per prima, ed ha elaborato una “proposta per una nuova struttura ed una nuova politica della contrattazione collettiva” da discutere con CGIL, CISL e poi con CONFINDUSTRIA e le altre controparti pubbliche e private. Inutile fare qui la versione in prosa dell’ormai sufficientemente noto documento in cui la UIL ha raccolto ed illustrato le sue proposte. Meglio riassumere quanto più sinteticamente possibile le ragioni e gli scopi di quelle proposte. La UIL ha innanzitutto capito che, in tempi di deflazione, non ha senso rapportare i salari all’aumento dei prezzi e che, invece, la struttura della contrattazione e le richieste economiche possono e devono fare la loro parte per restituire tono alla spesa delle famiglie, stimolare le attività e gli investimenti delle imprese, promuovere la creazione di posti di lavoro. Cosa possibile a condizione che si contratti meglio e di più, ogni quattro anni a livello nazionale se questo vuol dire dare più spazio alla contrattazione complementare, nelle aziende e sul territorio, per il lavoro pubblico come per quello privato, per migliorare la produttività del lavoro e valorizzarne la professionalità, per offrire a tutti i lavoratori la protezione del welfare contrattuale e delle tutele bilaterali, integrando l’uno alle altre, per creare una rete di protezione sociale del lavoro negoziata e gestita dalla contrattazione collettiva.
Nel 1984 la UIL intuì per prima che il “taglio d’anticipo” di quattro punti di scala mobile era indispensabile per abbattere le allora fortissime attese d’inflazione e seppure al prezzo doloroso del più aspro conflitto interno al sindacato di questo dopoguerra, scelse quella politica salariale. Oggi una politica contrattuale altrettanto coraggiosa può contribuire qui ed ora, a “battere d’anticipo” le pressioni deflattive e la minaccia della depressione.
Via l’IPCA, aumenti legati al PIL
Niente più IPCA, perciò, ma aumenti salariali misurati sulla crescita del PIL a prezzi correnti, per aiutare quella stessa crescita ad autorealizzarsi. Niente più blocchi della contrattazione pubblica, niente più ritardi biblici nel rinnovo dei contratti del settore privato, ma vera riunificazione del lavoro pubblico e di quello privato, per negoziare a tutto campo la flessibilità, la remunerazione e l’organizzazione del lavoro dove concretamente si lavora e si produce, per fare della produttività delle imprese e dell’efficienza della Pubblica Amministrazione il vero antidoto al declino dell’economia, alla disgregazione della società, al dilagare della disoccupazione e della precarietà. Soprattutto niente più “zone contrattualmente franche”, irragiungibili dalla contrattazione collettiva, terreno di coltura del lavoro nero e dell’evasione fiscale e contributiva, luoghi in cui né i diritti, né la produttività hanno cittadinanza.
Un CCNL a geometria variabile
Naturalmente, la UIL si rende ben conto che non si può ricorrere alla forza pubblica per obbligare le aziende a contrattare e che, accanto alle imprese con ampia e consolidata esperienza di contrattazione collettiva, ce ne sono altre, non pochissime, che non dispongono delle strutture e delle competenze necessarie a gestire adeguatamente le trattative contrattuali. Alle une ed alle altre imprese la UIL offre il “CCNL a geometria variabile”, un nuovo modello contrattuale che garantisca la omogenea regolazione dei rapporti di lavoro e delle relazioni sindacali nelle diverse categorie e, allo stesso tempo, renda le pattuizioni nazionali meglio adattabili alle differenti condizioni e dimensioni delle imprese. La politica “a geometria variabile” del salario, invece di misurare gli aumenti contrattuali sulle frazioni di punto di un qualche più o meno affidabile indicatore, deve consentire alle parti di “anticipare” la crescita attesa e perseguita del PIL, di sostenere e non solo stabilizzare il potere d’acquisto dei lavoratori, di distribuire l’aumento delle retribuzioni in ragione dell’andamento della produttività, fermo restando, per evidenti e ragionevoli motivi di equità, che tutti gli aumenti convenuti, a qualsiasi livello erogati, dovranno in ogni caso essere conglobati nei minimi tabellari al termine della vigenza contrattuale. Occorrerà inoltre negoziare la disciplina dei rapporti e dell’uso del lavoro .Nelle nostre proposte la parte normativa del CCNL “a geometria variabile” verrebbe, per così dire, sdoppiata. Da un canto per disciplinare in modo completo e dettagliato il rapporto di lavoro alle dipendenze di aziende non in grado di negoziare al secondo livello e che, quindi, potrebbero applicare soltanto questa sezione del CCNL, senza dover rinunciare alle flessibilità organizzative e del lavoro definite in sede nazionale. D’altro canto per convenire una regolazione assai più snella degli aspetti fondamentali del rapporto di lavoro da applicare nelle imprese che, contrattando al loro proprio livello e con le loro dirette rappresentanze sindacali, potrebbero integrarla, arricchirla e, per quanto consentito, modificarla a seconda delle relative esigenze e delle rispettive convenienze delle parti. Insomma, la geometria variabile proposta dalla UIL offre alle imprese meno grandi e meno strutturate l’opportunità di applicare il contratto nazionale in modo semplice e trasparente per condividerne con i lavoratori diritti e doveri e per utilizzare il lavoro nel quadro di chiare e sicure regole contrattuali. Alle imprese che già contrattano e contratteranno in azienda o sul territorio la UIL offre la possibilità di farlo più liberamente, di negoziare- una propria politica della produttività ed una propria politica “d’anticipo” del salario, nei limiti indicati ed alle condizioni previste dal CCNL, che, per quanto a geometria variabile, è e resta ad ogni effetto il centro regolatore di ogni scelta.
Giù le tasse!
La UIL offre molto, ma anche chiede qualcosa Alla politica in particolare chiede di assecondare la riforma della contrattazione, evitando lo schizofrenico rincorrersi delle riforme del lavoro, correggendo le forzature del “jobs act” ed affidando di più al negoziato e meno alle alchimie di partito la riforma della Pubblica Amministrazione e del lavoro pubblico.
La nostra proposta salariale funziona e può combattere la deflazione, a patto che le tasse non sequestrino gli stimoli positivi che il maggior potere d’acquisto dei lavoratori dovrebbe trasmettere ai consumi. Serve, perciò, anche una politica fiscale “d’anticipo”, che riduca le imposte sul lavoro e sulle imprese più di quanto s’è già fatto con la limatura dell’IRAP e con il “bonus” da 80 euro, da estendere subito almeno ai pubblici dipendenti e ai pensionati.