LAVORO NERO
I produttori delle Langhe dicono no allo sfruttamento
La ricerca di “Slow Food”
La denuncia sullo sfruttamento illegale della manodopera straniera in agricoltura arriva “forte e chiara” da un gruppo di viticoltori delle langhe in Piemonte e proposta in un’inchiesta realizzata da Slow Food e anticipata dal quotidiano La Repubblica.
È Luigi (nome di fantasia) a parlare: «Ci dovremmo vergognare. Non dobbiamo consentire che poche mele marce gettino discredito su questa terra. Erano lì, a cento metri dalla mia finestra. Due donne, non più giovani, che insieme ai mariti arrivanoa decine al mattino presto del sabato per togliere le gemme non maturate dal tralcio delle viti del mio vicino. Un lavoraccio. Una cosa da schiavi se lo fai per dieci ore, sotto il sole, pagato in nero 3 euro all’ora. Le due donne sono cadute per terra, svenute a distanza di dieci minuti. Schiacciate dalla fatica, dal caldo e forse dal viaggio in pullman che avevano fatto per arrivare fino a qui. Sono macedoni. C’è chi accetta di pagarli una miseria, guadagnandoci una fortuna. Sono pochi ma sono produttori come me, abbiamo cominciato da zero negli anni ’80. Abbiamo messo le bottiglie di vino nella valigia e girato il mondo per venderle. Oggi produciamo Barolo, Dolcetto, vini doc che a volte arrivano a costare 200 euro la bottiglia. Con che faccia qualche furbo paga 3 euro i braccianti?». È un racconto agghiacciante ma anche il possibile inizio di una riscossa «perché solo noi produttori possiamo bloccare tutto questo. Anche perché, per fortuna, chi sfrutta la gente in quel modo, è una minoranza. La Langa è sana».
«La raccolta dei pomodori in Puglia o in Sicilia – scrive Giancarlo Gariglio autore della ricerca di Slow Food – ha acceso i riflettori sulle forme illegali di sfruttamento del lavoro. Non pensavo che questo sfruttamento riguardasse un settore agricolo di eccellenza come la viticoltura». È un paradosso: si sviliscono i lavoratori e si esalta il valore del prodotto. I doc piemontesi sono tra i vini più pregiati del mondo. Per i proprietari delle vigne il lavoro di un dipendente costa 14-16 euro l’ora. Ma, rivolgendosi a una cooperativa cosiddetta “senza terra” (perché i soci non hanno campi o vigne ma solo braccia), si arriva fino a 10 euro/ora. Ma Gariglio ha provato a forzare: «mi sono finto un produttore e ho chiesto se si poteva avere manodopera in nero. Mi hanno detto sì: 8 euro l’ora, dei quali almeno 4 restano alla cooperativa e gli altri 4 o 3, vanno a chi lavora».
“Quanto emerge dalla denuncia dei viticoltori piemontesi conferma in pieno la nostra conoscenza del problema e anche le possibili vie per affrontarlo e risolverlo” dichiara in merito il segretario generale della Uila Stefano Mantegazza “Il lavoro illegale viene utilizzato da pochi produttori che, però, rischiano di infangare tutto il settore ma non è, comunque, accettabile che, nel nostro paese, sia possibile sfruttare così ignobilmente il lavoro delle persone”.
“Serve dare trasparenza al mercato del lavoro agricolo, intensificare i controlli, in particolare attraverso gli incroci dei dati già in possesso delle istituzioni pubbliche e pensare a dei meccanismi di premialità per le aziende sane, in grado di realizzare quello che possiamo definire “lavoro etico”, svolto nella piena applicazione dei contratti e nel rispetto delle leggi sociali, valorizzando le professionalità e gratificando le persone”.