COCA COLA
I lavoratori e quell’isola felice che non c’è
di Pietro Pellegrini
Sfogliando i giornali negli ultimi giorni, mi sono trovato a leggere più di un articolo riguardo uno studio, commissionato dal Coca Cola HBc Italia alla Sda Bocconi School management, sull’impatto economico e occupazionale generato dalla multinazionale in Italia. Lo studio sottolinea in particolare il valore aggiunto a livello produttivo del forte legame territoriale della multinazionale con il nostro paese.
Elemento questo indiscutibile, così come lo sono i dati relativi all’importante impatto economico ed occupazionale che, secondo la ricerca, nel 2014 è stato pari a 815 mln di euro (0,05% del Pil).
Quello che invece è contestabile, sono le cifre relative al numero degli occupati che sarebbero 2.661, secondo quanto riporta anche Repubblica, e il non meglio specificato dato secondo cui 70.000 persone, direttamente o indirettamente, percepirebbero reddito da lavoro da parte di Coca Cola. A parte le cifre occupazionali che poco corrispondono con i dati forniti al sindacato, quello che mi lascia perplesso è leggere che i lavoratori della Coca Cola presentano un profilo retributivo superiore rispetto alla media del settore delle bevande.
A questo punto, pur non volendo in nessun modo mettere in discussione il legame con il territorio né la rilevanza nel sistema economico nazionale di Coca Cola, che resta il primo soggetto nell’industria delle bibite, mi pare doveroso, per i lavoratori, evidenziare alcuni importanti aspetti che la ricerca non prende minimamente in considerazione.
I lavoratori della Coca Cola non vivono su un’isola felice. Non è vero che hanno un profilo retributivo superiore rispetto alla media del settore delle bevande e soprattutto nell’ultimo triennio hanno sofferto, e soffrono ancora, al pari degli altri lavoratori.
A livello salariale Coca Cola è in linea con gli stipendi dell’industria alimentare e, a volerla dire tutta, negli ultimi tre anni non sono stati raggiunti gli obiettivi dunque i premi di partecipazione (ppo) non sono stati erogati.
La crisi globale, inoltre, non ha risparmiato nessuno neanche Coca Cola che è stata costretta a fare ben tre procedure di ristrutturazione, a seguito delle quali ha chiuso due stabilimenti (Cagliari e Gaglianico), cambiato il modello commerciale, passando dalla vendita diretta ai grossisti, ed esternalizzato il servizio tecnico. A livello occupazionale, dunque, c’è stata una consistente riduzione di organico: nel 2012 i lavoratori erano 3500 e oggi sono 2050 circa e non 2661.
C’è una bella differenza, ma questa è la verità.
Dispiace che una realtà economica importante come la Coca Cola debba farsi pubblicità elogiando una realtà non rispondente al vero e, soprattutto, mi dispiace, che in nessuno degli articoli si racconti il “dietro le quinte”, proprio con quello spirito di voler presentare il volto della società, di far saper agli italiani cosa fa la Coca Cola e come lo fa nel nostro paese. Sappiamo bene, noi, delle pesanti procedure di ristrutturazione che abbiamo dovuto gestire in questi ultimi anni.
Mi rendo conto che sarebbe stato troppo forse chiedere ai professori della Bocconi di leggere, ma forse perché nessuno glieli ha dati, gli accordi in cui si decideva di ridurre personale, tagliare posti di lavoro, chiudere stabilimenti.
Coca Cola è una grande azienda di cui nessuno può mettere in discussione il valore, ma vista l’autorevolezza della scuola di Milano ci saremmo aspettati un po’ più di oggettività, magari anche ascoltando i lavoratori stessi che, pur fortunati ad avere e mantenere il loro posto di lavoro, soffrono come tutti gli altri. E di cui ho sentito l’esigenza di far conoscere e sentire il disagio perché vi assicuro che non vivono in quell’isola felice descritta. Non è tutto oro quel che luccica.