A volte capita, quasi per caso, di ritrovarsi a rileggere alcuni articoli della Costituzione. Proprio in queste ultime settimane mi è capitato sotto gli occhi l’articolo 37: “la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione(…)”.
Siamo nel 1948 e solo due anni prima, il 10 marzo 1946, era stato sancito in Italia il diritto di voto alle donne. Estensione del suffragio frutto del lavoro e delle battaglie di tante donne. Sono però, purtroppo, ancora molti i Paesi che mancano all’appello della realizzazione di una completa democrazia.
Allora non stupisce la lettura del nostro testo costituzionale che mentre afferma un diritto ne sminuisce la portata. Non ci sfugge il contesto politico e sociale nel quale la Costituzione nasce e non ci sfugge la cultura che affidava alla donna una funzione, appunto, “essenzialmente familiare”; un ruolo di cura che continua ad essere oggi uguale a ieri.
Infatti, mentre si sancisce il diritto al lavoro delle donne se ne stabilisce, allo stesso tempo, la “secondarietà” assumendo come modello sociale quello maschile che nessuno, nei fatti, intendeva e intende cambiare.
Ne sono una testimonianza attuale l’organizzazione sociale ed economica, i tempi di lavoro e la assoluta insufficienza di quella rete di servizi che vanno dagli asili nido alla cura ed assistenza degli anziani che rappresenterebbero davvero la volontà di creare condizioni di pari opportunità tra donne e uomini.
Infatti, creare condizioni di pari opportunità tra soggetti differenti è la chiave di volta per una società equa, giusta e che realizza il concetto di uguaglianza attraverso la pratica della condivisione. Sono le madri e i padri che devono condividere un progetto di genitorialità e insieme costruire una loro possibile conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.
Ha ragione il Presidente Mattarella quando, in occasione della Giornata Internazionale della Donna svoltasi al Quirinale il 7 marzo scorso, afferma che senza le donne l’Italia sarebbe più povera e più ingiusta e che è grazie a una società non bene organizzata che il lavoro di educazione e di cura continua a gravare in modo preminente sulle donne. Ci sarebbe piaciuto ascoltare anche altro: un impegno culturale prima che politico per invertire questo stato di cose.
Quest’anno la giornata è stata dedicata al tema “donne per la terra” perché le donne, appunto, sono più capaci di produrre senza distruggere, sanno costruire e innovare, tutelando e salvaguardando. Insomma, terra, cibo e ambiente, per avere un futuro di crescita sostenibile, sono nelle mani delle donne che sono capaci di coniugare insieme questi fattori creando valore. Siamo d’accordo ma ci domandiamo in capo a chi sta il degrado ambientale e la cultura dell’emergenza, del dopo anziché del prima, del curare anziché prevenire, che continua ancora oggi come ieri? Ancora: chi deve favorire le condizioni economiche e sociali per consentire alle donne di lavorare?
Il lavoro, equamente retribuito, e’ un valore aggiunto per la crescita.
Ad ognuno spetta di fare un passo in questa direzione, a noi del Sindacato, della Uil, compete il miglioramento delle condizioni di lavoro, di realizzare strumenti di conciliazione tra vita e lavoro, di sostenere la genitorialità attraverso la contrattazione.
Il 2015 dovrà essere l’anno dei rinnovi dei contratti nazionali e questo non potrà non essere uno dei temi centrali delle nostre piattaforme. Molte le cose già realizzate a partire da un ampliamento ed un miglioramento delle tutele previste dalla legge 53 del 2000 e dalla 151 del 2001 sui congedi parentali ma ampi sono ancora gli spazi di intervento.
E ci auguriamo di fare meglio di quanto fatto dal Governo in tema di conciliazione ipotizzando misure di prolungamento temporale dei congedi parentali a parità di costo. Ancora una volta l’immagine fa premio sulla realtà.
Infatti, mentre si prevede l’allungamento del periodo nel quale poter chiedere l’ astensione facoltativa per maternità dai tre ai sei anni di vita del bambino si lasciano invariate sia la percentuale di copertura economica (30%) sia il limite massimo di fruizione (sei mesi). Inutile dire che il problema rimane quello dell’innalzamento della copertura economica e ricordiamo come, in proposito, il contratto nazionale degli alimentaristi è riuscito a rispondere a questa esigenza attraverso una soluzione mutualistica a carico delle imprese. Un esempio di come la realtà può far premio sull’immagine.
Nel dibattito che precedette la Costituzione molti interventi (delle donne) provarono ad affermare che il riconoscimento della funzione sociale della maternità non interessava solo le donne e gli uomini ma tutta la società. Da allora ad oggi qualche anno è passato ma il sostegno alla genitorialità fa parte ancora della cultura di pochi.
A noi del Sindacato, della Uil , deve appartenere la volontà e l’impegno verso la realizzazione di reali condizioni di pari opportunità partendo dalla consapevolezza di rappresentare soggetti diversi e non più neutri.
Una giornalista terminava il suo commento all’articolo 37 della Costituzione provando a riscriverlo così : ” ….la cura dei figli, della casa, dei bisogni primari di ogni individuo, della conservazione ma anche della qualità della vita, è responsabilità di uomini e donne, e che su questa base va ripensato un sistema economico, politico, culturale che è stato finalizzato finora a un sesso solo ….”. A noi il compito di tramutare le parole in realtà.