GIORNO PER GIORNO
Voucher, quella tracciabilità inutile a smascherare i disonesti
Dopo giorni di anticipazioni sui giornali, il tanto atteso decreto correttivo del Jobs Act che avrebbe dovuto contenere misure sulla tracciabilità preventiva dei voucher, non è stato approvato dal Consiglio dei Ministri. Se ne parlerà, forse, al prossimo Cdm.
La verità, secondo noi, è che la tracciabilità preventiva dei voucher non sarà sufficiente a smascherare gli imprenditori disonesti che continueranno a utilizzarli come salvacondotto da mostrare solo in caso di ispezione.
Noi, restiamo convinti della validità originaria dei buoni lavoro, ma abbiamo più volte denunciato le storture sul loro utilizzo, che secondo noi vanno corrette perché foriere di profonde ingiustizie e di un grave danno economico a carico della comunità.
L’incremento esponenziale dell’uso dei voucher, passato da poche centinaia di migliaia a 115 milioni annui, pone diversi problemi. Dal punto di vista previdenziale una persona pagata solo con i voucher dovrà lavorare 126 anni per maturare una pensione di 650 euro mensili. Poi c’è la “tassa occulta”, pari al 25% del valore di ciascun buono, che viene trattenuta a vario titolo dall’Inps e che se da una parte alimenta il gettito complessivo dell’istituto, dall’altra, rende impossibile ricevere qualsiasi tipo di prestazione previdenziale.
Ma la follia più grande è che del 25% trattenuto dall’Inps 0,70 euro servono per pagare l’assicurazione rischi sul lavoro. Il lavoratore, quindi, con questa piccola quota avrà diritto, in caso di infortunio, alle stesse indennità e rendite di un lavoratore dipendente (che paga molto di più); il tutto a carico della collettività e con grande vantaggio del datore di lavoro, che non paga nulla e che, con soli 10 euro, è garantito rispetto a ogni evento infortunistico, anche mortale.
Il nostro auspicio, quindi, è che il governo modifichi sostanzialmente il sistema dei voucher, riconducendoli all’idea originale per i quali erano nati, cioè remunerare i piccoli lavori accessori, salvo poi trasformarsi in uno strumento per aggirare i contratti di lavoro.