GIORNO PER GIORNO
Il vaso di Pandora dei paradisi fiscali
A Panama si è scoperchiato uno dei “vasi finanziari di Pandora” custoditi in oltre 20 “paradisi fiscali” sparsi nel mondo, nei quali ogni anno vanno e vengono centinaia (forse migliaia) di miliardi di dollari di dubbia provenienza e di incerta destinazione.
Certo, destano la curiosità del pubblico e attirano l’interesse dei media lo schermo di rispettabilità steso sui soldi mandati in Paradiso per non pagare tasse, la protezione assicurata, più che dal segreto bancario, da banche complici e da governi conniventi, al denaro di corrotti e corruttori, truffatori e trafficanti, persino terroristi e veri e propri stati canaglia.
Meno ci si chiede cosa accada a quei soldi una volta giunti al riparo di questo o quel paradiso.
I capitali di origine più e meno illecita, dopo un breve soggiorno tornano in circolazione lungo i sentieri della finanza “parallela” e, si riversano sugli algoritmi di Borsa, speculano su titoli, valute e fondi sovrani dei paesi in difficoltà, compravendono “futures” sui mercati non regolati e sulle materie prime, finanziano ogni sorta di attività illegale.
Questo fiume di denaro aggiunge al danno recato dalla sua illecita provenienza all’economia reale dei paesi d’origine, l’ulteriore e maggior danno dell’intossicazione cronica del sistema finanziario “globale” che già ha tanti guai e problemi.
È vero che gli organismi internazionali, le banche centrali, le grandi istituzioni finanziarie e monetarie avrebbero mezzi e strumenti utili e sufficienti a mettere i paradisi fiscali in condizione di non nuocere, individuando i movimenti anomali di capitale e tagliando le unghie alle speculazioni che li alimentano e alle quali sono destinati.
Potrebbero farlo, se gli uni e le altre non dovessero, sotto la pressione dell’urgenza, rimandare a data da destinarsi ciò che è importante.
L’Ocse sforna indicatori, rilevazioni e statistiche sempre più al ribasso, propone ricette e soluzioni che tutti apprezzano ma che nessuno prova a mettere in pratica.
Il Fmi, tirato per i capelli nel salvataggio della Grecia, ha accolto la moneta cinese nei suoi diritti speciali di prelievo e ora deve vedersela con i 6.700 miliardi di dollari di traballanti obbligazioni immesse sui mercati internazionali dalla Cina in debito di crescita e dalle sue indebitatissime aziende di Stato.
La Fed, nell’anno delle elezioni presidenziali, non vuole né può chiudere i rubinetti della liquidità che da anni spande senza freni sull’economia USA, la cui ondata di piena ha sostenuto occupazione e produzione ma ha anche gonfiato bolle esplosive che ormai galleggiano sull’intera finanza del pianeta.
La Bce, al contrario, irrobustisce il suo “Quantitative Easing” in salsa europea, condito da infinite discussioni e irriducibili disparità di opinione e interessi, che ne riducono la credibilità politica e la capacità di dissuadere speculatori e malintenzionati in attesa di un passo falso dell’Euro.
Se le difese internazionali vacillano, quelle delle economie avanzate, soprattutto in Europa, sono ancor più fragili, minate dal conflitto a somma zero tra opposte convenienze nazionali, lacerate allo stesso tempo dall’austerità che sfibra la crescita e dal dissesto dei conti pubblici che gonfia il debito degli stati e aguzza l’appetito della speculazione.
Questo è il migliore dei mondi possibili per i “soldi sporchi” di ogni paradiso, reso ancora più accogliente dalle guerre in corso e in preparazione, dalla Siria alla Libia, fino al Nagorno-Karabakh e ad altri punti cardinali, dalle milizie del Califfo di turno e dalle bande armate di ogni dove che aprono sempre nuovi mercati a chi traffica in armi, dalla disperazione di profughi e migranti che offrono grandi opportunità di investimento in sofferenze umane.
Le tecnicalità finanziarie non bastano a irrobustire le difese deboli, non riescono a escludere dalla finanza internazionale il denaro “frutto e strumento di rapina”, sono obiettivamente incapaci di espugnare i “paradisiaci” fortilizi che a quel denaro consentono di rapinare in tutta tranquillità.
Ci vuole la politica per regolare e stimolare lo sviluppo, per interrompere la spirale in cui la finanza cresce indifferente a tutto su se stessa, per creare e distribuire equamente ricchezza vera e non virtuale, per accantonare le contingenti ragioni di conflitto e affrontare la sfida mortale del terrorismo e l’emergenza epocale delle migrazioni.
La politica capace di sconfiggere la crisi forse non farà sparire d’incanto i paradisi fiscali e non abbatterà d’un colpo le protezioni che offrono al denaro illecito e a chi illecitamente ne disponga, ma di sicuro porrebbe a quei Paradisi un assedio difficile da rompere e, restringendo la libertà di movimento dei capitali maleodoranti, trasformerebbe il mondo ideale in cui ora prosperano in un incubo asfissiante.