GIORNO PER GIORNO
Nuova Agenzia del lavoro, le nozze con la metà dei fichi secchi
L’OCSE conferma che a fine 2014 non solo l’Italia accusava un tasso della disoccupazione del 12,4%, la cui struttura sembra ancor più preoccupante della sua stessa dimensione.
Innanzitutto perché 6 disoccupati su 10 sono “di lunga durata”, cercano lavoro da oltre un anno, con sempre più flebili speranze di trovarlo. Poi perché non solo la disoccupazione giovanile resta stabilmente attorno al 42%, ma un giovane disoccupato ogni quattro nemmeno lo cerca più ed è tanto scoraggiato, da non volerne saperne né di studiare, né di partecipare a corsi di formazione professionale.
Infine, ma non in ordine d’importanza, l’Istituto di Parigi stima che l’Italia, al lordo degli eventuali costi aggiuntivi della crisi greca e dell’inasprirsi della guerra delle sanzioni con la Russia, crescerà nel 2015 solo dello 0,6% e l’anno prossimo non oltre l’1,5.
Troppo poco per sperare in rimbalzi automatici dell’occupazione italiana, la cui struttura resta più precaria che altrove, in quanto le nuove assunzioni sono per lo più a termine o variamente atipiche e solo una su due diventa contratto a tempo indeterminato nei dieci anni successivi, percentuale tra le più basse ed attesa tra le più lunghe dei 34 Paesi dell’OCSE.
Inevitabile, perciò, che il ricorso agli ammortizzatori sociali tenda ad aumentare di conseguenza, assieme alle corrispondenti voci di spesa ed alle preoccupazioni per l’equilibrio del sistema del welfare.
Una mano d’aiuto sembra venire dall’aumento dei rapporti di lavoro stabili – più per trasformazione di precedenti contratti, che non per assunzioni davvero nuove – trainato dai generosi, ma temporanei incentivi accordati dal “Jobs Act” ai nuovi contratti a tutele crescenti .
Per spendere davvero e strutturalmente meno per gli ammortizzatori sociali, bisogna averne meno bisogno, basti pensare che, se l’Italia recuperasse il punto e mezzo di disoccupazione in più rispetto agli altri 18 Paesi dell’euro, risparmierebbe alla voce sostegni al reddito un bel pezzo di “spending review”.
Certo, sarebbe necessario organizzare e gestire l’incontro tra domanda ed offerta di lavoro meglio di quanto sia finora riuscito alle politiche attive dei Governi degli ultimi anni ed affidarsi di più alla comprovata capacità delle parti sociali e dei loro Enti Bilaterali di promuovere l’occupazione e di condurre a buon fine la formazione dei lavoratori.
Il Governo in carica, invece, ha deciso di costituire una Agenzia del Lavoro nella forma nuova di zecca, nella sostanza come e più di sempre burocratica e da realizzare “senza nuovi oneri o maggiori spese per il Bilancio dello Stato”, cioè raschiando sul fondo del barile degli attuali stanziamenti per le politiche attive del lavoro, più che dimezzati tra il 2007 ed il 2014.
Come dire, facciamo pure le nozze, ma con la metà dei fichi secchi.