MADE IN ITALY
Segno distintivo per l’agroalimentare italiano: il governo perde un’altra occasione
Come spesso accade (soprattutto in politica) la montagna ha partorito il più classico dei topolini. Dopo tanti annunci il Governo ha finalmente svelato quale è il segno distintivo dell’agroalimentare che accompagnerà nella grande distribuzione (all’estero) i prodotti italiani: un bel tricolore!
Che dire…siamo tutti molto legati ai nostri colori e quindi a vederli ci emozioniamo sempre. Ma questo “segno distintivo”, definito come un marchio ombrello per rendere riconoscibili i prodotti alimentari italiani e contrastare il fenomeno “italian sounding”, quali valori contiene? A guardar bene nessuno, il suo unico fine è promuovere i prodotti agroalimentari italiani sotto la sua bandiera, a prescindere! E, attenzione: non sarà inserito nel packaging (le aziende se ne guardano bene!) ma solo sugli scaffali dove i “veri” prodotti italiani saranno esposti.
Ora a noi dispiace fare la parte dei “bastian contrari” però su questa ennesima performance senza sostanza qualche riflessione sorge spontanea.
La prima: la maggior parte dei prodotti che imitano quelli italiani riproducono, con diverse modalità, i colori della nostra bandiera quindi il nostro segno distintivo messo in bella mostra a contrassegnare degli scaffali servirà a ben poco.
La seconda: il valore di un marchio è legato ai contenuti che garantisce ai consumatori; in questo caso l’unica garanzia è che sono prodotti in Italia. Se in tutto o in parte, con quale qualità e quale lavoro, non si sa: sono messaggi che dal nuovo “segno distintivo” non arriveranno ai consumatori.
Il ministro Martina sostiene che questo marchio è uno strumento in più al servizio delle imprese per spingere l’export con l’obiettivo di arrivare ai 50 miliardi di euro entro il 2020.
Noi facciamo il tifo perché questo risultato si realizzi e, proprio per questo, pensiamo che questa sia l’ennesima occasione perduta.
Credere che i consumatori stranieri che comprano il “made in Italy” si facciano condizionare nei loro acquisti da una bandierina in più è una pia illusione.
L’agroalimentare italiano che vince all’estero è scelto dai consumatori perché di qualità superiore e perché realizzato con la professionalità di un lavoro dipendente riconosciuto e correttamente remunerato; l’agroalimentare che all’estero perde e che ha sempre meno mercato è quello senza qualità che spesso nasconde un lavoro nero o mal pagato.
Voler ricomprendere entrambe le tipologie sotto un unico segno distintivo è, quindi, controproducente, così come è presuntuoso pensare di far passare tutti i prodotti che imitano i nostri, come scadenti. Si vince con la qualità, la trasparenza e la riconoscibilità del prodotto.
Per questi motivi pensiamo sia questa l’ennesima occasione perduta da parte di un paese che sceglie sempre di non scegliere e anche quando si propone all’estero invita a comprare italiano a prescindere. Potrà andare bene alla prima fiera, poi alla prima grande fregatura che prenderanno i consumatori, il danno sarà per tutta la produzione made in Italy.