FILENI
Criticità sul lavoro divengano ambito di intervento sindacato
di Alice Mocci
Quasi trecento lavoratori intervistati nel corso del 2014, provenienti da 49 diversi Paesi di cui in prevalenza Bangladesh, Romania, e India che rappresentano il 54,4% degli occupati dell’azienda Fileni, terzo produttore in Italia di carni avicole che dà lavoro, tra dipendenti e indotto, a circa 3 mila persone.
I dati sono il frutto della ricerca “Fileni: il lavoro ha mille colori” condotta dalla Uila e presentata a Cingoli, presso la sala del Consiglio Comunale. Attraverso il punto di vista dei lavoratori, prevalentemente associati Uila, abbiamo voluto mettere in risalto le caratteristiche positive e le criticità del rapporto territorio/azienda, gli aspetti legati alla convivenza tra persone di etnie e culture diverse e la loro percezione dell’ambiente lavorativo e sociale.
Il punto di vista del sindacato è che le principali problematicità che impattano con il benessere delle persone possano trovare una soluzione con il contributo e l’impegno di tutti i soggetti del territorio, nonché attraverso azioni della stessa Fileni, una tra le imprese più socialmente responsabili.
Il nostro obiettivo è fare in modo che tali criticità divengano ambiti di intervento delle relazioni sindacali, anche attraverso iniziative di welfare sussidiario, interne ed esterne all’ambiente di lavoro, che possono migliorare le condizioni di lavoro e di vita delle persone, riconciliando ambiti spesso difficili da far convivere e che alimentano il gap di genere, penalizzando specialmente le donne.
Tuttavia, esistono interventi che richiedono il coinvolgimento e la stretta collaborazione di tutte le parti in causa: amministrazioni pubbliche, azienda, sindacato ed altri soggetti economici dei territori coinvolti, quelli dove sono insediati gli stabilimenti dell’azienda e quelli (numerosi) dove vivono le maestranze.
Quello che abbiamo potuto analizzare dell’esperienza dei lavoratori intervistati è in primis la difficoltà linguistica.
A parte il 25% madrelingua, il 32% ammette di non saper leggere l’italiano mentre il 50 di non riuscire a scriverlo; la maggioranza dei lavoratori intervistata ha un basso livello di istruzione il 69% ha conseguito l’obbligo scolastico e il 49% ha abbandonato gli studi per motivi economici.
Circa un terzo degli intervistati, poi, vive in una casa di proprietà, chi non vive da solo in media la divide con altre tre persone, ma c’è anche chi vive in 10 sotto lo stesso tetto. Il 55% dei lavoratori è di religione cristiana, mentre il 39% sono musulmani, per i quali non sono formalizzati spazi, fisici e temporali, per l’adempimento delle pratiche religiose.
Il reddito è la nota dolente: il 58% dichiara di avere un reddito annuo inferiore ai 10 mila euro, dato che tiene conto della retribuzione al netto delle prestazioni di carattere sociale (indennità di malattia, maternità, infortunio, disoccupazione agricola, ecc) in quanto dai dati aziendali la media generale delle retribuzioni è di 17.200 euro. Le donne sono penalizzate con un reddito inferiore che in media è di 15.475€, ma la maggioranza è assunta a tempo indeterminato.
Per quanto riguarda la percezione dei rischi sul luogo di lavoro le donne segnalano quali fattori maggiormente incisivi gli sforzi fisici, la postura e la temperatura/refrigerazione. Motivo di maggior insoddisfazione per gli uomini, invece, è l’organizzazione del lavoro, mentre in generale prevale un giudizio positivo nel rapporto con i colleghi, che indica in fondo una buona integrazione dei lavoratori tra di essi.
Un po’ più complicato, infine, il rapporto con il territorio e i servizi: l’82% dei lavoratori si reca al lavoro con auto propria e in pochi conoscono ed usano il congedo parentale e i servizi per la cura di bambini, malati e anziani.
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