L’INTERVISTA
Voucher: altro che Referendum. Riformiamo il lavoro!
di Fabrizio De Pascale
Fabrizio. Le feste sono passate. È passato anche un referendum, Renzi è andato a casa ed è cambiato il governo. Ma, passato un referendum se ne farà un altro?
Stefano. Pare di si. Anche se…
F. Cosa…?
S. CGIL, CISL e UIL hanno in questo momento una opportunità straordinaria che non dovremmo farci scappare.
F. Quale?
S. Quella di aprire con il governo una vertenza straordinaria sul tema dell’occupazione e della qualità del lavoro.
Aprire una grande vertenza su occupazione e qualità del lavoro
F. E che c’azzecca con il referendum sui voucher?
S. C’azzecca, c’azzecca… Negli ultimi 20 anni con i governi Berlusconi, Monti, Letta e con il primo periodo del governo Renzi è stata teorizzata, contro il parere del sindacato, la tesi che la precarizzazione del lavoro potesse essere uno dei volani utili a far ripartire l’economia.
F. Direi, non solo teorizzata ma anche praticata!
S. Esattamente. L’introduzione dei voucher, il progetto di abolire i contratti nazionali, il taglieggiamento di diritti e tutele è stato teorizzato e in gran parte anche praticato con risultati che sono davanti agli occhi di tutti.
F. E che dicono questi risultati?
S. Che la precarizzazione del lavoro è una risposta sbagliata al declino dell’Italia, non lo corregge al contrario lo amplifica.
F. E’ la tesi che la UILA ha sempre sostenuto?
S. Certo. Il 2016 è stato, da questo punto di vista, un anno emblematico: l’occupazione è cresciuta poco, il paese è finito in deflazione, ma il Pil è aumentato dell’1%. Come si ridistribuisce questa ricchezza? Io mi auguro che oggi sia possibile avviare con il nuovo governo un confronto anche su questo tema. Gli anni appena trascorsi confermano che aumentando la precarietà e diminuendo i salari il paese diventa più povero e accelera sul piano inclinato del declino. Oggi, il sindacato ha l’occasione per invertire questo trend.
F. In che modo?
S. Aprendo subito un confronto col governo su una piattaforma di richieste molto concrete per ridurre la disoccupazione, tutelare il lavoro più precario, ridurre le disuguaglianze più evidenti.
F. E quali dovrebbero essere queste richieste?
S. Io credo che vadano ripensate in maniera strutturale le aliquote contributive. La leva degli incentivi stabiliti a sostegno del Jobs Act si è rivelata inutilmente costosa. A partire dal 2015 ben 8.060 euro annui per tre anni: 24.180 euro di sconto per chi assumeva a tutele crescenti, più lo sconto IRAP. Quando dal 2016 gli incentivi sono stati tagliati del 60%, c’è stato un drastico calo delle assunzioni. Passata l’euforia degli sconti e dei saldi, oggi l’aumento modesto dell’occupazione è legato in gran parte agli effetti dell’allungamento dell’età pensionabile…
F. E quindi?
S. L’operazione da fare allora e da chiedere con forza oggi è un’altra: i contributi previdenziali che le aziende pagano per i dipendenti a tempo indeterminato devono essere strutturalmente, cioè per sempre, un po’ più bassi di quelli che si pagano per un lavoro precario.
Contributi più bassi per il lavoro a tempo indeterminato
F. In buona sostanza tu dici che il lavoro precario deve costare di più, in termini di contributi, rispetto a quello stabile?
S. Proprio così. E poi ci vuole un’ulteriore riduzione per i giovani e per il Sud. Scelta questa già finanziata dalla legge di stabilità 2017 che prevede uno stanziamento di 730 milioni a questo fine e che è necessario che diventino anch’essi strutturali.
F. Quindi meno contributi previdenziali per il lavoro stabile e una ulteriore riduzione per i giovani e per il Sud. E poi?
S. Riportare i voucher alla loro funzione originaria.
Voucher Si, ma usati in modo corretto
F. Quindi non serve abolirli?
S. Assolutamente no. L’idea di Biagi era ed è giusta; i voucher devono essere utilizzati per pagare lavori occasionali e saltuari: le ripetizioni, i piccoli lavori domestici, la pulizia di un giardino. Purtroppo nel corso degli anni il loro uso è stato ampiamente distorto, fino a diventare un salvacondotto che nasconde lavoro nero. Oggi con questo strumento vengono retribuite attività da lavoro dipendente con conseguente destrutturazione della buona occupazione. Nel 2008 furono venduti 500mila voucher, nel 2016 le stime prevedono 150 milioni. Questo uso va sconfitto con un ritorno all’occasionalità della prestazione, non con l’abrogazione dello strumento.
F. Come puoi affermare che i voucher siano un salvacondotto che nasconde lavoro nero?
S. Rispondo con una domanda retorica. Tu credi che un ragazzo lavori in una pizzeria ogni sera per un’ora? O che un edile stia sopra una impalcatura per lo stesso tempo e per il resto del giorno vada in giro a bighellonare? E ancora sono credibili vendemmie che durano un’ora presso aziende che vendono le loro bottiglie a 50 euro l’una?
F. Effettivamente no.
S. Appunto. E allora riportiamo i voucher alla loro funzione originaria e cogliamo l’occasione per rivedere anche la finalità della contribuzione prevista dai voucher.
Voucher finanzino anche disoccupazione e maternità
F. Tradotto?
S. Oggi il lavoratore su 10 euro che percepisce ne lascia 2,5 all’INPS, un’enormità! Di questi una parte va all’INAIL a tutela di eventuali infortuni, il grosso rimane all’INPS come costi di gestione e per alimentare la gestione separata, prestazioni pensionistiche di cui nessun lavoratore saltuario o occasionale usufruirà mai.
F. Quindi?
S. Utilizziamo l’importo che resta all’INPS per finanziare due prestazioni che il lavoratore potrà effettivamente richiedere: la disoccupazione e la maternità.
F. Tu pensi che questo Governo possa essere disponibile?
S. I voucher non sono stati introdotti dal governo Renzi, né l’abnorme proliferazione di questo strumento, che ha condotto a una precarietà senza precedenti, è direttamente riconducibile al Jobs Act. La liberalizzazione dei voucher è imputabile a una serie di norme varate dall’ultimo Governo Berlusconi e poi soprattutto dal Governo Monti (che ne ha esteso l’uso a tutti i settori) e Letta (che ne ha cancellato la natura meramente occasionale). Il Jobs Act è invece il primo provvedimento che ai voucher ha posto dei limiti: il divieto di utilizzarli negli appalti e, soprattutto, l’obbligo di tracciabilità per il datore di lavoro, che adesso deve dichiarare in anticipo luogo, giorno e orario della prestazione.
Rivedere il Jobs Act su articolo 18 e responsabilità in solido
F. su questo punto c’è anche un altro referendum….
S. Si. Io sono per reintrodurre la clausola di responsabilità in solido tra committente e impresa di subappalto, una norma già prevista dal nostro ordinamento e poi cancellata.
F. E sull’art. 18?
S. Anche qui è necessaria una modifica al Jobs Act. C’è un incremento preoccupante dei licenziamenti disciplinari (+28%) che va affrontato così come quello dei licenziamenti collettivi. Il governo precedente li ha imposti. Ora, dopo averne valutato gli effetti, quelle norme vanno modificate.
Redditto di inclusione e lotta alla povertà
F. E quali altri misure suggeriresti in materia di sostegno al reddito per le fasce più povere della società?
S. Bisogna rendere strutturale il reddito di inclusione e aumentare la dotazione già prevista a questo scopo nella legge di stabilità. Durante questa crisi senza fine, in Italia la povertà si è allargata a macchia d’olio. Se nel 2007, prima della grande recessione, 1,8 milioni persone erano sotto la soglia di indigenza assoluta calcolata dall’Istat, nel 2015 questa cifra è più che raddoppiata: 1.582.000 famiglie, pari a 4, 6 milioni di cittadini, il 7,6% della popolazione. Su questo fronte il governo è sulla strada giusta ma bisogna fare di più.
F. E tu pensi che la CGIL potrebbe accettare una trattativa su questi temi?
S. Io credo che il referendum diventi inutile se c’è una correzione radicale dei provvedimenti di cui stiamo parlando. Modifiche del genere convincerebbero tutto il sindacato. Noi dobbiamo negoziare unitariamente e fare intese unitarie.
Rivalutare il lavoro per salvare l’Europa
F. Quindi ricapitolando: salari adeguati al Pil e non solo alla inflazione; costo del lavoro per il tempo indeterminato più basso di quello stagionale e precario; voucher solo per lavori saltuari e occasionali; ritorno alla clausola di responsabilità nei subappalti; manutenzione straordinaria dell’art. 18 per quanto riguarda i licenziamenti collettivi e quelli disciplinari e, per finire, reddito di inclusione per le famiglie più povere. Sono queste le proposte che il sindacato dovrebbe fare al governo?
S. Si, hai sintetizzato bene, aggiungo solo una riflessione finale. Oggi, forse in Europa, di certo in Italia, dobbiamo riconoscere, come ha ben scritto Ezio Mauro sulla Repubblica del 31 dicembre, che il lavoro ha smesso di essere strumento di inclusione, di libertà materiale e di cittadinanza. È questa una delle cause che scatena l’ondata di odio che attraversa in questo momento l’Italia.
“La democrazia del lavoro” scrive Mauro “così come è nata in Europa, teneva insieme capitalismo, welfare e rappresentanza politica, dando un senso alla costruzione sociale che ne derivava. Noi dobbiamo ricostruire questa catena che si è spezzata e farlo in fretta. Il sindacato in questo momento dovrebbe intestarsi questa battaglia e rimettere il lavoro, la sua qualità, la sua protezione al centro dell’azione del Governo e del Parlamento”.