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Un’Europa da riformare

3 Luglio 2015
in L'EDITORIALE
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L’EDITORIALE
Un’Europa da riformare
di Stefano Mantegazza

Nel 1957 i Trattati di Roma hanno dato forma tangibile al sogno di un’Europa unita dalla pace tra le nazioni, dalla solidarietà tra popoli “liberi e forti”, dalla comunità continentale degli Stati democratici.

Nel mezzo secolo successivo abbiamo realizzato molto di quel sogno, con l’Unione di 28 Paesi per decenni divisi dalla Cortina di Ferro, con la Moneta Comune a 19 Stati Membri, col Parlamento eletto da tutti gli europei, liberi di circolare nella più grande area economica del mondo.

Poi è arrivata l’Europa della finanza che soffoca l’economia ed ignora l’equità, dei numeri che sostituiscono i valori, del rigore che vincola i bilanci e rallenta la crescita, delle regole che spezzettano gli interessi comuni nei mille rivoli degli egoismi nazionali.

E il sogno è diventato un incubo, che promette altra finanza, altri numeri, altro rigore, altre regole, dal quale ci sveglieremo solo tornando a sognare e a realizzare il sogno dell’Europa forte, della sua unità ed orgogliosa della sua comune cultura.

La Grecia è parte integrante di questo sogno, indispensabile alla sua realizzazione, perché, se l’Europa comincia a perdere pezzi, presto smarrirà se stessa e la ragione stessa del suo stare assieme.

L’Europa dei numeri e dei parametri, dell’Unione da 25 anni a trazione tedesca si avvia inesorabilmente al fallimento.

Innanzitutto dell’economia, la più lenta e fragile del pianeta, ora vittima, ora complice di ogni scorribanda speculativa, sfregiata dalla disoccupazione più alta di sempre, in declino demografico e, tuttavia, incapace di dare lavoro a metà dei suoi pochi giovani.

Poi della sua interna coesione, minata da diseguaglianze che il venir meno della solidarietà rende sempre più stridenti, sfaldata in sempre più Paesi dal crescere di populismi di vario conio ed egualmente distruttivi, consumata dal diffondersi della malattia dell’antieuropeismo, spacciata come cura di ogni male.

Infine e non da ultimo della sua capacità di affrontare tutti assieme i rischi che tutti minacciano, si tratti dei conflitti che dalle frontiere orientali dell’Europa stanno dilagando sul Nord Africa e si affacciano alla frontiera meridionale dell’Unione, o del “pasticcio ucraino” che le sanzioni hanno più complicato, che non risolto, o del terrorismo islamico ormai dentro casa, forse non da oggi, ma oggi certamente più di ieri.

Mentre le Nazioni Unite contano nel mondo 59,5 milioni di rifugiati, mai così tanti dalla fine della seconda guerra mondiale, l’Europa si impicca alla sua nessuna politica comune dell’immigrazione e dell’asilo, un vuoto che semina nel continente disperazione, preoccupazioni e razzismo.

E’ vero che l’Europa, al pari del resto del mondo, è in crisi da ormai troppi anni, una attenuante che non ci assolve, perché è anche vero che l’Europa dell’austerità teutonica, anziché aggredire la crisi, alla crisi si è sostanzialmente rassegnata.

Gli Stati Uniti, origine ed epicentro di quella crisi, hanno saputo reagire presto e bene, hanno garantito all’economia la liquidità necessaria ad evitarle di affondare nella recessione, ai lavoratori ed alle famiglie i sostegni sufficienti ad impedire il collasso dei consumi, alle imprese i finanziamenti di cui avevano bisogno per continuare a produrre ed investire.

Gli USA non abbandonano gli Stati dell’Unione più deboli al loro destino, l’Arkansas non è di sicuro la Silicon Valley, ma la Silicon Valley divide con l’Arkansas il suo benessere e le sue opportunità, perché l’una e l’altro sono e si sentono egualmente parte della stessa comunità.

Di conseguenza e non per caso, mentre l’Europa ancora discute sul da farsi e, nel frattempo, fa poco o nulla, gli USA crescono circa tre volte più di noi e la disoccupazione americana è scesa dal 12 al 5,5%.

Mario Draghi, per nostra fortuna, ha fatto e sta facendo tutto il possibile e, magari, anche qualcosa di più, ma il Quantative Easing europeo, dopo aver a lungo arrancato sotto il fuoco incrociato dei veti e delle contrapposte convenienze nazionali, ha visto la luce quando gli Stati Uniti, trascorsi sette anni dalla sua adozione, sembrano non avere più bisogno del loro.

Per rendere più spedito il processo di integrazione dell’Europa abbiamo anche provato a ricomporne le diversità ed a semplificarne le complessità in una comune Costituzione, ne sono venute fuori 370 pagine di orrore burocratico.

Non contenti, siamo stati ancora più ambiziosi, abbiamo alzato lo sguardo ai grandi principi ed agli ancor più grandi ideali dell’europeismo, abbiamo scritto il Trattato di Lisbona e lo abbiamo archiviato sugli scaffali delle buone intenzioni che lastricano il piano inclinato lungo il quale l’Europa scivola verso l’irrilevanza, se non la dissoluzione.

E l’Europa è tornata ad occuparsi della curvatura delle zucchine e del formaggio che può fare a meno del latte, ad assistere praticamente immobile al montare dell’ondata di rabbia e paura che disorienta tanti europei, che inquina la politica e terrorizza i Governi, ad attendere il collasso della Grecia ed a sperare che non trascini con se anche il resto dell’Unione.

Tutto, insomma, è a rischio, ma nulla è definitivamente perso, se tutti noi europei sapremo rispondere all’eccezionalità delle circostanze con scelte e decisioni altrettanto eccezionali.

Possiamo, dobbiamo farcela, guardando al lungo termine, più che alle angustie di giornata, raccogliendo le forze comuni, invece di coltivare ognuno le sue proprie debolezze, sconfiggendo la tentazione dell’ognuno per sé col coraggio della solidarietà, opponendo la buona politica dell’interesse generale alle becere strumentalizzazioni di politici senza scrupoli.

Bisogna rifondare l’Europa, dobbiamo sottrarla all’abbraccio mortale della burocrazia che si legittima da sola per affidarla alla politica legittimata dal consenso democratico, possiamo liberarla dai lacci e lacciuoli dei parametri, perché più liberamente provveda ai comuni bisogni degli europei, per farla breve, dobbiamo e possiamo restituirle il suo comune futuro.

Dal fallimento di questa Europa da incubo può e deve nascere l’Europa che abbiamo sognato e vogliamo realizzare, l’Europa che, proprio a partire dalla Grecia, ha inventato la democrazia ed dato al mondo il meglio della cultura, del pensiero, dell’eguaglianza dei diritti e della eguale dignità di tutti gli uomini.

E che tanto ancora può dare agli europei ed al mondo.

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