CORTE DEI CONTI
Tasse, un paese di indigenti
Urge profonda riforma del sistema fiscale e nuovo patto sociale
di Stefano Mantegazza
Nei giorni in cui la Corte dei Conti conferma che sugli ultimi 6 anni le entrate fiscali sono cresciute di 55 miliardi e che il prelievo, a carico degli italiani, è arrivato al 43,4% del Pil, diventa ancora più interessante comprendere chi effettivamente paga le tasse in questo paese.
I numeri sono spesso per loro natura noiosi ma più di tante parole, servono a descrivere la realtà fiscale del Bel Paese: 61 milioni di abitanti; 41 milioni di dichiarazioni dei redditi; 19milioni (il 46,5% del totale) coloro che dichiarano redditi fino a 15.000 euro e per i quali la restante parte della collettività paga per la sola spesa sanitaria 42 miliardi l’anno; poco più di 1,5 milioni (4% del totale) i contribuenti che dichiarano redditi superiori ai 55.000 euro.
Questi numeri portano al seguente risultato: il 38% degli italiani (dipendenti e pensionati in larghissima parte) paga l’86% dell’IRPEF e l’11% paga più del 51% di tutta l’IRPEF.
Ora qualche breve riflessione: tutte le volte che un Presidente del Consiglio vi racconta sui media che la riforma che vi vuole rifilare è proprio quella che cambierà il paese, a meno che non sia quella fiscale, vi sta prendendo in giro.
Penso che in questi numeri nessuno possa riconoscere il nostro paese dove i disoccupati e i precari sono indubbiamente sempre più numerosi ma la maggior parte degli abitanti hanno case, macchine e telefonini di proprietà e penso che fino a quando l’enorme ricchezza sommersa continuerà a sfuggire alla Agenzia delle Entrate a causa di leggi totalmente e volutamente sbagliate, l’Italia non solo non potrà risalire la china ma rischia una nuova e più profonda crisi economica.
Chiudo questa breve riflessione con una domanda “retorica”, perché non risponderà, al Ministro Poletti.
Dei 19 milioni di contribuenti che dichiarano redditi fino al 15.000 euro solo 7 sono pensionati. Gli attivi di questa platea che paga in media 300 euro di tasse all’anno, versano pochissimi contributi previdenziali e potranno aspirare al massimo alla pensione sociale. Quando cominciamo a preoccuparci delle ricadute che si verificheranno?
Anche in questo caso drammatico la soluzione sta in provvedimenti utili ad allargare la platea dei contribuenti e non nei contorsionismi a cui stiamo assistendo che puntano a ridurre gli importi più alti delle pensioni vigenti e future.
Conclusione: i pochi numeri sottolineati indicano la necessità urgente di un sistema fiscale da riformare profondamente e di un patto sociale che il paese deve nuovamente stipulare.